lunedì 27 dicembre 2004

oggi ho conosciuto una coppia di passeri (william thomson (senza la p) e calanda brau) che vivono al supermercato: si sono stabiliti lì da poco e vivono in un anfratto del sistema di riscaldamento installato sul soffitto fra il reparto acqua e quello dei detersivi.

william thomson (senza la p) mi ha aiutato a scegliere il pane, visto che le baguette erano finite.

lui dice che vivere lì in fondo non è male, almeno fino a quando qualcuno non prova a infilarti nel carrello, o i commessi del reparto ortofrutta provano a sfrattarti arrampicandosi su una scala kelvin.


dopo la spesa sono tornato nel centro di rieducazione mentale, dove insegnano agli emisferi ad essere carini, a dire grazie e per favore, a non arrabbiarsi quando i neuroni fanno un po’ troppo casino.

il mio maestro di estasi mistica sostiene che io prenda un po’ troppo sul serio questo mondo.

a guardarla da un punto di vista subatomico non ha tutti i torti, ma mi scoccia dare ragione a un larice innevato.

del resto, lui non ne parla volentieri, ma pare che tutti i maestri europei che riescano a stare immobili per lungo tempo abbiano dovuto lavorare per la stasi, ai tempi della cortina di ferro.


domani c’è in programma la settimana di auto smaterializzazione corporea: durante il seminario iniziale si spiega alle molecole che non devono sentirsi legate per forza, perchè il processo di aggregazione dovrebbe essere volontario, e mai forzato.

poi si consiglia a tutti quanti di fare un periodo per conto proprio, per riflettere sulla propria volontà e scegliere in piena autonomia.

alla fine della settimana ci si ritrova e si decide per il meglio.

domenica 26 dicembre 2004

alla fine, nevica.

insomma, una nevicata coi fiocchi.

resisto alle lusinghe del mercato sino americano che ammiccano dal televisore di fianco al camino e mi addormento sul tappeto.

quando mi sveglio un antenato del grande timoniere (era achab, credo) ha sconfitto gli unni (che però erano cinque) e io ho sconfitto il patè.

non ho neppure sbavato sul tappeto, lo metto nei miei successi personali, come quella volta che sono riuscito ad aprire una medicina con la chiusura a prova di bambino.

mentre cerco di tornare a casa litigo con dei pinguini per il possesso di un’area di parcheggio, finchè non decidiamo di risolvere a palle di neve.

poi il mio telefono si rifiuta di abbandonare diax swiss, neanche a corromperlo con una fornitura illimitata di corrente per i prossimi due secoli.

sul lago non c’è neve, però piove acqua gelata. fa un rumore come di pioggia, ma più metallico, specie sui tetti delle macchine e sulle tapparelle nuove.

io dovrei scaricare delle nuove plugin per il mio cervello ma non riesco a connettermi a www.manutenzioneneurale.com, allora cerco di ipnotizzarmi facendomi dondolare davanti agli occhi un portachiavi a forma di rana.

funziona.

giovedì 23 dicembre 2004

meno sei.

non è un conto alla rovescia, è la temperatura di qui alle cinque del mattino. provate a chiedermi come lo so.

dopo tre ore sono fermo nel traffico di milano (ma non ho di fianco lucia, tengo a precisarlo) quando un cugino di babbo natale alla guida di una mercedes targata hannover mi taglia la strada. lo insulto in tedesco: ci resta di stucco, è un barbacrucco.

assumo propoli, paracetamolo e torazina spray nasale per la consapevolezza interna, ma nessuno sembra intenzionato ad assumere me. almeno a lungo termine.

alcuni alieni di passaggio cercano di colonizzare il mio cervello con dei segnali a banda larga, con i piatti (sporchi), gli ottoni (l’intera dinastia) e tutto il resto, più il tamburo quando arrivo ad affori. l’unico modo per tenerli a bada è parlare da solo, serve a schermare il cervello da qualsiasi interferenza.

di norma non parlo mai da solo, - tranne quando la lavatrice è incazzata con me e si rifiuta di rispondermi - poi va a finire che litigo perché non sono mai d’accordo con me stesso.

questo e altro ancora, pensavo, mentre programmavo il gps della bmw x5 (bmwbmwbmwbmwbmw, deve essere onomatopeico) sulle coordinate per ricondurmi alla ragione. o forse era magione, adesso non ricordo.

quello che ricordo è che a un certo punto io e il sosia di topo gigio disquisivamo di fisica, e precisamente dell’assunto per cui un corpo lasciato in stato di quiete nel vuoto tende a cadere e sfracellarsi a terra, tranne quando non è grave, tesi asserita dagli scienziati newton e compton in un libello sconosciuto ai più ma studiato da tutti gli altri segni matematici.

adesso me ne sto qui, in versione gaunilone, a confutare il proslogion in un inverno freddo e ostile pronto ad alesarti le orecchie quando meno te l’aspetti.

verso sera mi ritiro nei miei alloggi a comporre lied in ugrofinnico e a cercare il tasto reset del cervello.


disclaimer: horkheimer non è un’imprecazione


lunedì 20 dicembre 2004

in questo mondo tutto è passeggero, come sostengono i vertici delle fs

giovedì 16 dicembre 2004

poi la sera incontro un emissario del capitano vega, che deve compiere una missione da queste parti, manco fosse robert de niro. si chiama capitano vega non perché sia fratello di suzanne vega ma perché viene da vega, che è un sistema stellare da qualche parte nell’universo, che potrei anche darvi le coordinate esatte ma sarebbe un'informazione a sestante.

invece pare che il capitano nemo non venga da nemo, che quello è un profeta in patria.

insomma, quelli di vega ci devono controllare, capire a che livello evolutivo siamo – ma vi pare che una specie che inventa i caloriferi e il cappotto invece di emigrare verso paesi caldi sia giunta ad un livello evolutivo apprezzabile? – tutto il tempo a vedere noi che si fa, mai che si prendano una vacanza, su vega. (per esempio, ad alnilak hanno tre settimane di vacanze l’anno. poi pare che un anno duri 26 giorni, insomma, la sanno lunga, su alnilak).

ogni tanto fanno delle riunioni operative, una riunione di capitani coraggiosi, il capitano kirk per i terrestri, il capitano vega per gli alieni, il capitano tuttammè per gli alienati con manie di persecuzione.

io di queste cose non mi interesso granchè, io ascolto i marta sui tubi, gli ilaria è pesante, i vakki plakkula e guardo il lago mentre il paese si sveglia, e poi, a volte, penso.

sabato 11 dicembre 2004

sulla porta di casa mi aspetta raimondo lullo, ansioso di disquisire su ars combinatoria e basi di dati.


lo blocco con una presa elson, prima che possa far danni e lo lascio annodato fuori dalla porta.


mi sdraio sul divano a vedere un entusiasmante telegiornale in romancio sulla tsi2, mentre penso a come deve suonare la parola  database in romancio.


sono due giorni che access mi tormenta: il fatto è che - in questo periodo me lo dicono spesso - non sono un maestro nelle relazioni, devo farmene una ragione. quindi perdo tempo, come al solito (mai che guadagni qualcosa, io. dovrei rivedere le mie condizioni contrattuali).


solo che nella mia vita ho perso molte cose, oltre al tempo, ma ultimamente sono piuttosto impegnato, come tende a farmi notare il monte di pietà.


quindi mi scrollo di dosso il divano e tento di far ragionare un dentifricio dispeptico (con scarsi risultati, devo ammetterlo) mentre ascolto la sinfonia numero 3 (la tangenziale) di antoine cartier, nella partitura per clavicembalo, orso bruno e radiosveglia


tutto quello che mi serve è trovare venti minuti, mettere il cervello in stand by e dedicarmi in tutta tranquillità al mio ikebana per neuroni.


invece scopro che camera mia è stata nuovamente conquistata da eserciti nemici. mai farsi trovare indifesi, sosteneva sun tzu (un applicativo apple, credo). mai lasciare la finestra aperta, soprattutto se fuori ci sono due gradi centigradi, sostengo io (ma io non sono un applicativo apple. almeno credo)


un germano reale in carne, ossa e piedi palmati zampetta sul davanzale inondato dal sole.


del resto non posso pretendere di essere il solo animale eliotropio da queste parti.


 


-non dovresti essere in letargo? del resto dovrei esserlo anch’io, mi sa


-passavo di qui


-…


-di nuovo senza lavoro, eh?


-veramente un lavoro ce l’ho. dura tre giorni.


-e dopo che farai?


-ti sei iscritto alla fiera dell’ovvio? o a quella delle domande idiote?


-…


-…


-ti serve una manovra di heimlich al cervello


-se ti prendo ti faccio arrosto


-…


-…


 


esco di casa e lascio acceso il computer a perenne monitor


 


meta disclaimer: questo post sarebbe dovuto andare in onda in forma ridotta, ma il correttore di bozze si è lasciato prendere la mano. pare che con una mano sola sia difficile correggere le bozze, quindi temo dobbiate leggerlo così com’è. nel caso trovaste una mano in giro per blog, siete pregati di portarla al legittimo proprietario

venerdì 10 dicembre 2004

di notte i pensieri si condensano, come il respiro nelle giornate fredde.


siamo anime senza fissa dimora, gli homeless del pensiero.


sto bene, anche se non sembra. succede sempre così quando torno da queste parti.


sono di nuovo qui. prima ero paperino.


ma non sarò qui per molto, da qualche tempo vivo frammentato, periodi brevi e intensi come quelli di questo post.


qui ho ritrovato un cielo limpido, un lago freddo, una tapparella nuova, una scarpa bucata e poco altro.


mi avventuro per le strade seguendo il poco traffico svogliato, augurando anemie falciformi e altre sventure alle auto targate ginevra. artù dovrebbe essermene riconoscente.


aspetto un tacito evento. qualcosa che ha tutta l’aria di non voler accadere, mentre io non posso far altro che attendere.


chiamo in causa alcune divinità per esprimere il mio dissenso, ma scopro che hanno un call center e tutto quello che riesco ad ottenere è una voce registrata.


ci scusiamo per l’attesa. i nostri consulenti sono momentaneamente occupati. siete pregati di rimanere in linea per non perdere la priorità acquisita.


tanto non avevo intenzione di mettere su peso.

venerdì 3 dicembre 2004

dovrei essere in pausa pranzo.

dovrei essere in molti posti, a ben vedere. almeno così sosteneva il mio maestro di ubiquità.

temo che da un punto di vista olistico abbia ragione lui, ma stando in un posto solo ci sono meno probabilità di farsi trovare dai creditori.

esco e mi uniformo al grigio della città. credo di aver esagerato con la meditazione, ultimamente: un pakistano mi intercetta alla fermata di loreto, si dice sorpreso dalla mia aura e vuole vendermi a tutti costi una collezione di incensi e un manuale di eristica. spiego gentilmente che non ho mai avuto una carta aura e non mi interesso di eristica: a volte so mentire anch’io. ma solo a volte, è questo il problema.

la sera a milano ho la riunione di qabbalah e misticismo, stiamo tutti in una sala di viale monza a commentare il qoeleth e altre cose con la q.

buffa la vita di milano, a pensarci. basta evitare di farlo.

così ho in programma un viaggio alla ricerca di me stesso. generalmente mi mando delle mail, ma questa volta ho deciso di viaggiare.

malcom sostiene che non sia utile evadere da se stessi. non credo sia strettamente necessario dare ascolto al proprio zaino, però anch’io sono convinto che in realtà non ci sia poi tanto da scoprire. come dicono i razionalisti, tutto il mondo è palese.

e comunque, prima o poi torno.

giovedì 2 dicembre 2004

non ho tempo. non ho tempo.

visto che eminenti scienziati hanno stabilito che il tempo (e lo spazio) è relativo all’osservatore, il fatto di non avere tempo potrebbe significare che io sia morto. vabbè.

in più non funziona la posta elettronica. quindi faccio uso privato di mezzo pubblico (rubo un tram)


mail per d.

una promessa è una promessa, una rosa è una rosa. un tulipano no.

sarebbe carino restare sui treni della linea due fino a fine servizio. tipo da gessate (imperativo) a famagosta (cipro, credo)

però capisco il disagio, mi ci ritrovo, mio malgrado, quindi ti aspetterò là fuori, insieme alla verità e ad altre cose che non sono in grado di vedere, e tu uscirai dal buio e mi riconoscerai, perchè saremo sulla stessa lunghezza d'onda e soprattutto perchè ti ho detto come sarò vestito. (immagino mi riconosceresti lo stesso, se fossi nudo)

io ricevo ancora minacce di morte, ma solo da me stesso.

ci vediamo fra poco


e.