giovedì 25 febbraio 2010

secondo un recente sondaggio il 74% dei miei colleghi sostiene non sia normale svegliarsi al mattino pensando ad aitor begiristein.

è anche vero che attualmente, a parte il gatto, non ho colleghi, quindi forse la percentuale non è del tutto attendibile.

visto che non abbiamo il telefono attivo, in mancanza di telefonate intelligenti (a dire la verità non capitavano neanche quando c’era il telefono attivo, eh) in ufficio io e il gatto disquisiamo sulla teoria di austin (texas) sui performativi.

ultimamente il gatto tende a surclassarmi sul piano dialettico, tenendo un atteggiamento che si può riassumere nella frase “chi è sintetico è dialettico, chi no, no. forse è un misto lana” (platone, repubblica, VII, 537 C 7), quindi di solito preferisco giocare a scacchi, che sono sicuro di vincere (lui è più intelligente, ma io ho il pollice opponibile, il che è un buon vantaggio quando si devono muovere dei pezzi su una scacchiera).

invece da qualche giorno il mio collo fa un curioso rumore di rami secchi calpestati ogni volta che lo muovo.

ho chiesto consiglio al solito ghiro pratico di articolazioni (ha imparato il mestiere da un oste a opatjia) ma mi ha risposto che se ne riparla quando esce dal letargo.

quindi vado in giro con un fastidioso rumore sincopato nelle orecchie, (a meno di non camminare come lerch degli addams, ma è poco ergonomico) e tutto quello che posso concedermi per rilassarmi è un caffè servito da uno dei chipmunks.


mercoledì 17 febbraio 2010

mi sveglio e il mio cervello trasmette in quadrifonia “quando l’appetito c’è” nella versione per quartetto d’archi (acuto, a tutto sesto, baleno e di trionfo). chiedo al notaio se ci si possa mettere anche un clavicordo, ma mi guarda male.

nel frattempo la lavatrice ha smesso di perdere, e adesso pareggia. è un grande risultato, soprattutto perché ha smesso di allagare l’armadio, e, nonostante mi manchino le naumachie, credo sia meglio così (è una casa arredata da un tedesco: se vi state chiedendo perché l’attacco della lavatrice sia dentro un armadio, immaginatevi dove sta la difesa).

fuori dalla porta di casa incontro un egagro che mi guarda con la faccia triste di chi sta per essere tosato (non guardate me, io misconosco pure la differenza fra lana merinos e lana turner) e mi chiede notizie dei camion spargisale. lo rassicuro, che qui la temperatura non dovrebbe alzarsi per tutto il prossimo mese, quindi cena assicurata dalle 22 in avanti.

in ufficio faccio il giro dei saluti degli operatori di call center con cui organizzo amabili giochi di società in amicizia (siamo senza linea telefonica ormai da 35 giorni: io chiamo telecom che dà la colpa a fastweb, io riferisco a fastweb che dà la colpa a telecom, poi si parlano telecom e fastweb ma senza capirsi, e si ricomincia. praticamente è una versione moderna del telefono senza feeling).

la sera arrivo a casa, mi sdraio sul divano cercando di evitare martina navratilova e aspetto la fine del mondo. quando finisce valuto se comprarne uno nuovo.


mercoledì 10 febbraio 2010

ascoltando i mezzi di informazione (infor) ho come l’impressione che un sacco di parole stiano perdendo significato. come dire, una sparizione di tropo. allora decido di dormire, mentre il mio cervello trasmette la finale dei mondiali dell’82 travestito da breitner, e ogni tanto un neurone si alza in piedi ed esclama “non ci prendono più”.

poi sveglio, svento l’assalto di martina navratilova che mi vuole mordere e cerco di capire che ore sono guardando a che punto è il sole sulle montagne (da qualche tempo mi sto specializzando nella gnomonica, l’arte di costruire orologi solari usando solo nanetti con i cappelli a punta). il fatto è che saranno due settimane che non si vede il sole, quindi in genere improvviso.

alla fine mi infilo i pattini da ghiaccio, scanso un corriere tnt che sta viaggiando a mach 2 (come dicono i corrieri: “colli, sempre colli, fortissimamente colli”) e arrivo in ufficio giusto in tempo per svenire di fronte al computer. voglio dire, non c’è nemmeno il gatto, e, come dicono i saggi, l’occasione fa l’uomo ragno.

da qualche giorno ho anche deciso i nuovi propositi per il nuovo anno (secondo il mio calendario il nuovo anno comincia il 12 febbraio e dura dai 300 ai 462 giorni, a seconda delle congiunzioni astrali, ma anche delle preposizioni astrali e degli avverbi astrali) che sono:

- cambiare allenatore alla lavatrice che perde più della juventus

- trovare un portachiavi a forma di rana

- riuscire ad aprire una confezione con la chiusura a prova di bambino



affinità/divergenze fra il compagno editor e noi, del conseguimento della centrifuga neuronale (part ii)


xx scrive:

aspetta, devo scaricare la lavatrice

eddie scrive:

da internet?

xx scrive:

come fai ad essere così cretino?

eddie scrive:

non lo so, mi viene naturale