venerdì 28 ottobre 2011

sono in una taverna di asgaard a cercare di evitare che un vino da 50 centesimi al litro mi disintegri lo stomaco (ma, come dice il proverbio, a caval donato non si cambia nome) e contemporaneamente provare a distinguere l’unico pallido raggio di sole della giornata che filtra dalla finestra (la finestra è ottima, sono i raggi di sole che scarseggiano).
questo vuol dire che ha smesso di piovere e forse è ancora possibile uscire di pattuglia a cercare gli ufi che si nascondono nei bar (provate a pensarci: è un nascondiglio ideale, se siete degli ufi).
la neve ha invaso le cime delle montagne e ogni tanto passa un tedesco che sfoggia un taglio vokuhila o una capigliatura tipo il parrucchino di andre agassi, con qualche decennio di ritardo. ma forse ha solo viaggiato con trenitalia.
tra le altre cose, inizia a fare discretamente freddo e questo fa perdere almeno 10 punti vita (ossia stiamo dimagrendo) a me e al mio maestro di stretching neuronale (un pesce persico che ha una comprensibile idiosincrasia a burro e mandorle).
comunque se c’è una cosa su cui si può star sicuri, riguardo al freddo, è che peggiorerà.
c’è un sacco di gente che sostiene che il freddo è uno stato mentale e che è tutta una questione di testa. beh, non credeteci. a meno che non vi dimostrino che per curare la broncopolmonite vanno dallo psicologo.

verso sera sposto due pezzi di legna per il camino riuscendo nell’impresa di infilarmi due schegge nella mano sinistra, con un’invidiabile risultato di 2 su 2 dal campo, poi mi infilo nella lavastoviglie.
appena finisco di considerare le implicazioni storiche fra stret-ching e i-ching vado a coibentarmi i centri emotivi.

lunedì 17 ottobre 2011

chiamatemi ismaele.
chiamatemi anche un tecnico per la lavastoviglie, già che ci siete (l’alternativa sarebbe iscrivere la lavastoviglie ad un corso di autostima, ma ho idea che costi troppo).
nel frattempo ha ricominciato a piovere, il che significa che le divinità preposte al controllo del clima sono tornate dalle ferie e continuano a odiarmi. l’unico aspetto positivo è che probabilmente la smetteranno con le escursioni termiche degne del sud dakota (per chi non lo sapesse, un’escursione termica è quando andate in montagna con un calorifero nello zaino).
io esco dall’ufficio quando ancora non è buio, decido di ignorare un paio di gnomi che saltellano in strada cantando fliegerlied e mi infilo in un supermercato locale (qualche giorno fa ho visitato un supermercato grande come un quartiere di città del messico e ho avuto uno shock culturale. quello che si dice un supermercato a misura duomo).
i supermercati da queste parti sono più accoglienti (voglio dire, mai che ti capiti un tramonto con blue in green in sottofondo, nei supermercati, però almeno non devi stare attento quando attraversi la strada da uno scaffale all’altro).
infatti al banco surgelati trovo oddone da cluny che tiene un sermone di un quarto d’ora sull’importanza della pulizia delle scale, finché non lo allontano con una flèche di pesce spada.
quando arrivo a casa l’universo collassa e non c’è modo di rianimarlo.
allora mi siedo alla finestra ad ascoltare le comunicazioni degli ufi (che credono di essere i migliori della galassia ma non sanno neppure allacciarsi le superstringhe) e a scolpire compresse di tachipirina.

martedì 4 ottobre 2011

non è che sia scomparso, è solo che una mattina, in ufficio, ho scoperto una porta dimensionale in una fotocopiatrice (non trovavo quella ethernet) e mi sono perso perché non ero preparato.
nel caso vi interessasse, altre porte dimensionali sono: un ripiano della biblioteca del trinity college di dublino, una sequenza di 4 note suonate da matt savage in “blues in 33/8” live in new york, l’incrocio di due geoglifi a nazca, una pietra al quattordicesimo chilometro della muraglia cinese, l’iscrizione su una lapide del cimitero di praga (per una completa disposizione delle porte dimensionali potete consultare il manuale “porte dimensionali e serramenti astrali”, dirk fenderson , ed. jaka book).
quando esco dall’ufficio assisto al miracolo della materializzazione del toblerone sullo specchietto laterale della mia auto (che mi lascia un po’ perplesso: finora avevo assistito solo alla smaterializzazione, del toblerone) e all’improvviso ricevo in dono la glossolalia e parlo switzerdeutch con i turisti. purtroppo mi riesce solo con i turisti belgi, quindi non è che serva granché.
nel frattempo, io e un fagiano in crisi di identità (il suo psicologo sostiene che non esiste perché non è individuabile con certezza in uno schema di propp) disquisiamo di affinità e divergenze fra alano di lilla, san bernardo di chiaravalle e chihuahua del messico sulla questione della finitezza dell’universo. io sono abbastanza convinto che l’universo non sia finito perché ho controllato e ne è rimasto un pezzo in frigorifero.
la sera esco sul balcone con una torcia elettrica a fare segnali luminosi agli ufi che sorvolano il pianeta, per cercare di farli atterrare (gira voce che gli ufi abbiano alcune risposte su alcune questioni antropologiche che mi interessano).
ad ogni modo, non atterrano mai, non capisco perché. forse devo ingrandire il balcone.