mercoledì 24 dicembre 2014

nella nostra galassia, in questo periodo, si festeggia il santo navale.
il santo navale è la festività tipica della nostra galassia* in cui si festeggiano i mezzi di trasporto galattici, che permettono alle specie più evolute di conoscersi, socializzare, scambiarsi doni ed esperienze edificanti sulle diverse culture all’interno della nostra galassia.
secondo la tradizione, le navi interstellari espongono il gran pavese (una specie di frollino galattico), e ci si ritrova tutti insieme all'interno della nave a sorseggiare un liquore speziato chiamato con un nome che foneticamente assomiglia a: ˈwiːn bruːˈæli.
il santo navale, ovviamente, non si festeggia ogni anno e non corrisponde al nostro dicembre (nella galassia, le stagioni dipendono dalla posizione del vostro pianeta rispetto al centro galattico: se vi dovesse servire un riferimento, il sistema solare ruota introno al centro galattico più o meno dalle parti della cintura di gould, che, com’è ovvio, è appena sopra i pantaloni di gould).
sul nostro pianeta, la tradizione di festeggiare il santo navale è recentissima, essendo iniziata circa dodicimila anni fa, quando degli ufi osservanti che stavano facendo un pic nic dalle parti di sirio hanno insegnato questa tradizione galattica alle specie più intelligenti del pianeta (i lemming e i delfini).
sfortunatamente homo sapiens ha scoperto questa tradizione intorno all’anno 300, in un periodo come questo in cui il santo navale coincideva con la festività del sol invictus, una nuova festività del tutto provinciale (che all’epoca veniva festeggiata un po’ sottotono, per questo gli storici amano definirla fa# invictus) e che aveva a che fare con il solstizio di inverno (e quindi chiaramente inventata da gente che non sapeva guardare a un palmo dal proprio pianeta).
inoltre, era un periodo storico in cui nel bacino del mediterraneo** stavano emergendo altre divinità minori che non avevano neanche il buon senso di interessarsi di astronomia, quindi le cose sono andate come sono andate.

* altre galassie hanno usanze molto diverse e alcune decisamente più barbare
** per capire l’importanza del bacino del mediterraneo all’interno della galassia, immaginatevi la galassia come una grande casa coloniale a due piani: ecco, il bacino del mediterraneo si trova dietro la casa del custode, in un angolo polveroso del capanno degli attrezzi

martedì 16 dicembre 2014

giovedì 11 dicembre, ore 18.03
mi infilo la giacca a vento, esco in balcone, guardo verso sud ovest e faccio ciao con la manina

la sera dopo sono da qualche parte nella quindicesima dimensione quando avverto una perturbazione nella forza (un fronte di aria fredda proveniente dalla decima che incrociandosi con la quinta assume i connotati di uno scimpanzé in pensione) e vengo teletrasportato dietro una mercedes targata lindau che procede al centro della carreggiata a una velocità di crociera intorno ai 17 km/h e che, a conti fatti, risulta più insuperabile del tonno.
io fossi in voi ci starei attento alla quindicesima dimensione (poi non venite a dirmi che non ve l’avevo detto).
il mio cervello si sintonizza automaticamente su una televendita di pentole antigravitazionali, mentre io mi metto comodo e aspetto che le mie sinapsi facciano il resto.
se c'è una cosa che internet e l'era digitale mi hanno insegnato, è ad avere la soglia di attenzione di un criceto con deficit di apprendimento, quindi se prima ero capace di leggere tutto il signore degli anelli in quattro giorni, ora invece non riesco a stare concentrato per più di 15 secondi.
appena arrivo a casa do il via al programma per l’intercettazione di ufi* che consiste nell’orientare correttamente la ciotola dei gatti in modo da creare una cassa di risonanza con alcuni satelliti geostazionari in grado di trasmettere le coordinate degli ufi, così da poter chiedere passaggi, avere informazioni sul senso dell’universo, implorare la distruzione del pianeta.
finora l’unica risposta è il gatto che miagola con insistenza, ma un team di esperti è già al lavoro per appurare se possa essere considerato un messaggio degli ufi, e nel caso se ci sia una chiave pubblica disponibile per decrittarlo.
io nel frattempo tiro fuori il manuale di divinazione e mi dedico alla predizione del futuro leggendo le ceneri del camino e l’estratto conto della carta di credito.

* non tutti gli ufi sono crudeli. per confermarlo, il professor hans farben, del centro di controllo ufologico di bedigliora, ha ideato un utile sillogismo aristotelico di terzo tipo di cui potete ammirare l’eleganza:
- alcuni ufi sono crudeli
- non tutti i crudeli sono ufi
- socrate è mortale
il fatto che socrate sia effettivamente morto direi che non lascia dubbi circa la validità del sillogismo.

lunedì 1 dicembre 2014

avevo deciso di suicidarmi giocando compulsivamente a freecell per dodici ore consecutive ma ho dovuto desistere perché, dopo solo quattro ore, tutto quello che sono riuscito ad ottenere è stato un violento attacco di epilessia che, purtroppo, in genere non è mortale.
questo mi ha portato a riflettere sui meccanismi responsabili dei processi di sviluppo come iterazione, ricorsività, feedback positivo, autorinforzo, e su tutti quegli atteggiamenti associati alla monomania in genere.
quindi, da oggi pomeriggio, io e il mio maestro di meditazione creativa* stiamo lavorando ad un progetto motivazionale che gli esperti del settore identificano come “metodo braulio velasco” e che consiste nell’ascoltare in loop sei ore al giorno the great song of indifference di bob geldof.
nel frattempo, fuori il tempo fa schifo, martinanavratilova guarda fuori dalla finestra con la stessa vitalità di un paramecio disgustato dalla vita e la quantità di luce stagionale disponibile si avvicina pericolosamente allo zero (ammettiamolo, il planisfero andrebbe rivisto e ricostruito dopo una programmazione accurata).
io mi infilo in un marktkauf (non provate a pronunciarlo a casa) per vedere se posso comprare dieci gradi di latitudine sud, ma viene fuori che non ho abbastanza punti vita.

* un cavedano che ha residenza fiscale in liechtenstein


lunedì 17 novembre 2014

piove ininterrottamente da tre settimane.
gli dei del clima hanno perso il campionato delle divinità per un rigore al novantesimo (per esattezza, il campionato clausura 2014: il calendario è molto simile al campionato argentino, ma lo organizzano le suore), e adesso alternano diluvio, pioviggine, tempesta, pioggia forte, nubifragio, pioggia debole, temporale, bomba d’acqua, pioggia e vento, pioggia sparsa, e un’altra dozzina di eventi meteorici quasi del tutto simili ma ormai riconoscibili dalla popolazione locale che ha provveduto a catalogarli in sottocategorie.
per esempio, ora si sta verificando un fenomeno piovoso che i locali chiamano amichevolmente “gervasio e protasio”.
io e un team di esperti stiamo valutando l’opportunità di farci crescere le branchie o, in alternativa, un’adeguata pinna caudale, ma l’evoluzione ci rema contro.
il lago è uscito (ma ha lasciato detto che poi torna), i fiumi sono impazziti, l’universo sta franando, e anche io non mi sento tanto bene. forse sto diventando sordo.
arrivo in ufficio fischiettando l’almanacco del giorno dopo, mentre saltello in perfetto stile fred astaire ubriaco (gli altri stili possibili sono: fred astaire ipovedente e fred astaire depresso; io e il mio coreografo di fiducia* stiamo lavorando per perfezionare fred astaire morto ma ancora inconsapevole).
saluto i pinguini (per un qualche motivo legato a una festività maya il riscaldamento ha deciso di scioperare), installo una canna da pesca sul balcone, poi vado a sedermi sul mio cubetto di ghiaccio preferito, cercando di scaldarmi con la luce del monitor.
qualche ora dopo, perfettamente rilassato, cerco di tornare casa inveendo contro automobilisti indisciplinati e neofiti dello sci nautico, mentre l’assembramento di folla stipata nella mia amigdala scandisce ritmicamente “ed-dì buma-ye”.
arrivato a casa riacquisto una mobilità articolare degna di nota (o per lo meno degna di un vertebrato), accendo il camino avendo cura di infilarmi più schegge possibili nelle mani (ho le mani delicate, occhei?) e metto sullo stereo kind of blue nella partitura per attizzatoio, spazzolino elettrico e tiragraffi.
alla fine, colto dall’entusiasmo, mi infilo direttamente nel camino.

* un cavedano che si è stabilito nella mia cassetta della posta. in realtà è una via di mezzo fra don lurio, don johnson e don worry (nessuno dei tre è un prete), ma con quella punta di genialità ittica che fa molto glamour

lunedì 3 novembre 2014

stavo guardando l’ultima puntata di superpollo contro superspugna* quando un messaggio in segreteria telefonica (in realtà non è una vera segreteria telefonica: è un app installata direttamente nel mesoencefalo che rilascia dopamina quando si accorge che sto cercando di ignorare delle cose inutili) mi avverte che devo uscire per la rituale cena di halloween.
per chi non lo sapesse, halloween è una trascrizione fonetica dell’originario medievale hello-win, un gioco di origine celtica che si svolgeva alla chiusura della stagione del lavoro nei campi.
durante hello-win le persone erano tenute a uscire di casa mascherate, e con alcuni dolciumi celati nelle tasche: come suggerisce il nome, per vincere bastava riconoscere qualcuno e salutarlo per primo usando il suo nome proprio; il vincitore acquisiva così il diritto di incamerare il contenuto delle tasche della persona riconosciuta.
il gioco, prima di degenerare nella forma corrotta che conosciamo ancora oggi, ha avuto per qualche anno un breve intermezzo a carattere violento, in cui chi vinceva aveva diritto di picchiare chi era stato riconosciuto. gli storici sono usi a riferirsi a quel periodo come il periodo di hello-spank.
l’usanza di hello-win non desta meraviglia negli antropologi culturali, dato che tutte le religioni del pianeta terra subiscono una spiccata fascinazione per il travestitismo (come sottolinea il professor vladimirko joseffson nel primo libro della trilogia sul divino “non hai ancora trovato dio? hai già guardato nell’armadio?” (ed. theoria).
io ignoro il mio splendido costume da toxoplasma (mi piace pensare controcorrente) e vado vestito normale (vabbè, normale, diciamo come al solito) però mangio due piatti di pizzoccheri nei quali effettivamente mi sembra di cogliere una manifestazione della divinità (e infatti vladimirko joseffson, nel secondo volume della trilogia “dio si nasconde in tutto il creato: timidezza o vergogna?”, sostiene che il divino si possa manifestare anche nei luoghi più impensati) poi torno a casa e mi ritiro nelle mie stanze a leggere un saggio sui suicidi creativi.
nei primi due capitoli ci sono la biografia di un nazionalista croato che nel 1993 ha cercato di inumarsi nella drina con una moto ante guerra e ante pavelic e quella di un baro olandese che nel 1948 si è volontariamente fatto venire un colpo apoplettico mentre stava perdendo una partita a poker su una nave da crociera al largo di dover, balzato agli onori della cronaca come “collasso nella manica”.

* non vi dico niente per non spoilerare

mercoledì 15 ottobre 2014

io e martinanavratilova guardiamo fuori dalla finestra una serie di emuli di rob mckenna che fanno acquaplaning con dei camion lunghi quanto un diplodoco extra large, almeno fino a quando veniamo impegnati in una sessione di mortal wombat e perdiamo interesse alle scampate catastrofi stradali.
io dovrei uscire per delle commissioni (tipo quelle parlamentari, ma meno retribuite) ma considerato il meteo avverso tendo ad essere vagamente restio.
nel frattempo nel mio cervello va in onda una retrospettiva su jane austen e gli eroi romantici, organizzata da un relatore che ha come primo obiettivo cercare di uccidermi e come secondo obiettivo un af-s nikkor 20mm f/1.8g ed*, giusto per mettere le cose in prospettiva.
prima di suicidarmi inalando del freon lo informo che anch'io ammiro molto fitzwilliam darcy, ma forse anche suo fratello, può darcy.
alla fine, dopo una breve conta fra me e il lago per decidere chi deve uscire per primo, preferisco anticiparlo e avventurarmi nelle nuvole, mentre i miei capelli assumono il classico aspetto che ricorda da vicino un monciccì o, in alternativa, napo orso capo.
sulla strada incontro una delegazione di ufi che tornano da una riunione di condominio, ma siccome hanno rotto il gps stanno aspettando da un paio di settimane una breve schiarita per orientarsi con le stelle **
mi chiedono anche informazioni su una stazione di servizio interstellare che, incidentalmente, coincide con il bar di fianco a casa mia, ma che in questo momento è chiusa per ferie.
nel tardo pomeriggio incrocio noè che mi informa che la forse la strada è chiusa per pioggia. già che sono lì mi chiede anche se mi va di fare il maschio del petauro dello zucchero e contemporaneamente abbonarmi a una rivista di ermeneutica online.
declino l’offerta (donum, doni, dono), infilo il mio costume da betamax e vado a proiettarmi sui cavalcavia.

* non sono delle lettere a caso. secondo la qabbalah ebraica questa combinazione di lettere può aprire un canale di comunicazione con il vostro io trascendente o, in alternativa, con il vostro postino.
** in realtà nelle ultime due settimane ci sono stati 3 minuti in cui erano visibili le stelle, ma si sono persi subito perché da qualche anno la costellazione della lira è diventata la costellazione dell’euro

martedì 30 settembre 2014

ero uscito in auto a consegnare della pizza a domicilio e contemporaneamente riflettevo sui massimi sistemi* con wonko, il mio amico immaginario (mica ne ho soltanto uno. il fatto è che in quel momento non c’erano gnomi disponibili e le divinità avevano organizzato un torneo di miracoli** in una taverna di ásgarðr) quando una volpe ingaggiata da un team di esperti neuroscienziati interessati allo studio delle capacità di reazione del cervello attraversa improvvisamente la strada.
io ordino alla sala macchine una manovra evasiva che consiste nello smaterializzare l’auto e rimaterializzarla in un universo parallelo, ma una decina di metri più avanti.
la volpe purtroppo ignora i principi della meccanica quantistica e quindi opta per una soluzione più banale accelerando quanto basta per levarsi dalle palle.
gli esperti neuroscienziati festeggiano con una bottiglia di nebbiolo d’alba del 2006.
questo riporta la discussione fra me e wonko sul problema del pensiero come coscienza di sé, autonarrazione e percezione della realtà esterna.
certo, come specie homo sapiens partiamo svantaggiati, ma forse potremmo inventare un software in grado di riprodurre dei sistemi coscienti in grado di emulare homo sapiens e, gradatamente, arrivare alle volpi.
il che conduce all’annosa domanda: può un software pensare?***
il professor antobello kranjiosberg, docente di realtà alternativa presso la libera università di badger (iowa)**** sostiene che la risposta in realtà dipende da cosa intendiamo per “pensiero”.
per esempio, alcuni filosofi definiscono il pensiero come “quella roba che non si può spiegare ma che fanno sicuramente solo gli esseri umani”*****, e allora sembra evidente che in questo caso un software non possa pensare.
se però definiamo il pensiero come un’attività per adattarsi all’ambiente e modificarlo secondo i propri bisogni e necessità, evolversi in maniera creativa e fornire risposte adeguate agli stimoli, allora c’è una concreta possibilità che i software possano pensare, anche se in un futuro non ancora prossimo.
se invece definiamo il pensiero come una serie di algoritmi volti alla risoluzioni di problemi, probabilmente i software già pensano.
se poi definiamo il pensiero come quello che passa per il cervello di un tizio tipo quelli che vediamo in televisione, non solo i software di oggi pensano infinitamente meglio, ma hanno molto più buon senso, sono decisamente più stimolanti e spesso sono anche capaci di provare empatia.


* è difficile capire cosa si intende quando si dice “massimi sistemi”. quello che posso dire è che i massimi sistemi hanno a che fare con la struttura dell’universo, la percezione di ciò che chiamiamo reale e il totocalcio
** è l’evento sportivo più seguito dell’universo, anche se alcuni ricercatori di marketing sostengono che le statistiche sono state misteriosamente alterate
*** questa domanda è simile ma non del tutto identica a quello che normalmente viene identificato con il test di touring, ossia: “può un software avere la carta di socio del club?”
**** città di cui abbiamo una diapositiva
***** esistono filosofi di questo tipo. sono quelli che di solito scrivono libri di centinaia di pagine per far finta che la loro posizione sia diversa.

mercoledì 10 settembre 2014


animal house 
(per quelli che contano, 59. è anche facile, ma temo ci metterete più di un minuto)*


non avrei nessuna remora a raccontarvi del mio migliore amico, ci conosciamo dai tempi dell’università, quando tutte le porte sono aperte e anche l’oracolo di delfi non saprebbe darti una certezza sul tuo futuro, se finirai nell'olimpo o appeso a una forca.
altri sognavan notti romantiche e parole arcane da sussurrare a un’ora tarda a donne dai tacchi notevoli e dal vitino di vespa (di quelle che non incontri mai a lezione), mentre lui passava il tempo a disquisire di tassonomie e voleva salire quella stretta scala a chiocciola che ti ammette a far parte dell’onorato rango dei migliori biologi della nazione, e non si curava della sua poca confidenza con il genere femminile, gli aperitivi, il casino dell’effimera vita notturna.
la differenza fatta di sorbetti non alcolici e casto rosolio da una parte, e i centro tavola da inondare con fiumi di alcol dall'altra, che deterge nettamente la coscienza e ti proietta nel mondo dei cori celesti e nelle gioie della carne, che fa nello spirito segni profondi, ma usato con moderazione favorisce la socialità e la convivialità.
lui ambiva ad altre pendici, vette, ambiva alle serate in cui fai nascere teorie nuove di zecca, che ti stacchino dai fanghi roventi dell’inferno e ti proiettino con le mure a dritta verso la fama e la gloria, ambiva alla differenza fra l’incedere elegante e sapiente dell’adulto e il gattonare indeciso del bambino, e poco gli importava se invece se la cavava maluccio con i suoi simili.
è il morso dell’ambizione che nutri amorevolmente, come il salmo nel quale il buon pastore punisce l’accidia e la lussuria, che fa sì che tu non risponda al pacato richiamo della corporeità e rimanga impalato sullo schienale di una scomoda sedia, senza cercare ristoro, una boa di salvataggio o delle bombole di ossigeno.
perché il prezzo è la solitudine, sentire che gli altri varano contromisure nei tuoi confronti, cercheranno di squalificarti, e di riflesso tu diventi una strana persona che parla male degli altri, geniale ma scontrosa, sempre pronta a pavoneggiarsi o a levarsi un sassolino dalla scarpa.
sapevo che si sentiva escluso, e seppi assolutamente di aver colto nel segno quando udii quell'ululo nel buio, inevitabile (anche superman gusta il lato oscuro della solitudine), quando il senso di superiorità si squaglia e arriva, puntuale come una strenna natalizia, la certezza di essere solo.
ormai fa già notte, e di quel che accadde poi non so molto. di certo fu rettore di facoltà e sentii parecchi racconti che lo ritraevano sempre su quel suo banco atipico di studente troppo cresciuto, a lavorare e bere spuma.
non so se era quello che volesse, quello che so è che a volte la soluzione è fermarsi, e poi analizzare quello che si vuole veramente.

* se siete qui per caso e non ci avete capito nulla, non avete di che preoccuparvi. questa è una cosa che faccio con i lettori affezionati di questo blog (due), e glielo dovevo. cioè, in effetti non è che glielo dovevo veramente, è che mi ci ha costretto giuglia, prendendomi per sfinimento.
se poi avete capito di cosa si tratta e non avete niente di meglio da fare, la soluzione completa starà nei commenti, fra qualche giorno (ah, dimenticavo, ci sono 3 branchi, il resto tutti solitari. credo). se invece trovate errori, non dovete dirlo a me, contattate direttamente con il mio avvocato (attualmente è un cavedano che incrocia vicino al porto di gerra gambarogno, fate un po' voi)
premi, stavolta non ne metto, tanto nessuno li ritira mai.

martedì 12 agosto 2014

eddie è ora fan di "accendere il riscaldamento dell'auto a inizio agosto"

diluvia da giorni. non sarebbe neanche così male se non fosse agosto, e se durante il giorno non ci fosse un’umidità che il golfo del tonchino in confronto è il paradiso.
diluvia da così tanto tempo che le mie due opzioni plausibili attualmente sono farmi crescere le branchie oppure suicidarmi.
e insomma, dicono i lettori (non credo esistano ancora i lettori di questo blog. ma credo che in caso esistessero, lo direbbero. cioè, alcuni tempo fa lo dicevano, ora non saprei) undici anni di blog e neanche un’informazione personale, che so, un pettegolezzo, una foto, qualcosa di te che non sappiamo.
forse hanno ragione, eh, ma questo io l’ho sempre considerato uno spazio un po’ privato. ah sì? e allora perché sta su internet? dicono i lettori (cioè, lo direbbero se fossero lettori intelligenti). perché il concetto di pubblico e privato, con l’avvento dei social network, si è lievemente incasinato.
sarebbe lungo da spiegare, ma comunque mi sono convinto a cedere al compromesso (tanto i blog sono morti, che mi frega?) e scrivere cinque cose di me che non sapete (se non le volevate sapere, fatti vostri).

1.a volte non riesco a spegnere il cervello. ho un sacco di immagini che stanno dentro e giocano a rimpiattino, e allora devo mettere della musica, che mi rilassa, oppure chiudermi in un armadio.
2. non riesco a sentire due musiche insieme. se sento due musiche diverse insieme, prima avverto un senso di malessere e disagio, poi mi viene da urlare tappandomi le orecchie e mi infilo nel primo tombino a disposizione.
3. mi dà fastidio che mi si colpisca in testa.
4. se sto troppo al computer, poi penso che se pesto le righe in terra vengono i cricetini a mangiarmi gli alluci. a volte resto deluso quando poi non vengono.
5. parlo da solo (cioè, mica sempre da solo, a volte parlo con delle cose che poi non mi rispondono)

(mi rendo conto che queste abitudini sembrano fare di me un alienato mentale, ma in realtà io sto bene, sono solo un po’ disadattato, come tutti. voglio dire, se qualcuno mi vede, mica le nota queste cose, queste sono cose che non sa nessuno. a parte la numero 3, direi).

in caso non vi bastassero tutte queste informazioni vi lascio anche una lettera motivazionale con cui rispondevo a una società in cerca di talenti che mi ha contattato chiedendomi di inviargliene una


siete in cerca di talenti? avete provato da un numismatico?
dunque (il mio frullatore sostiene che non si dovrebbe *mai* cominciare una lettera motivazionale con ‘dunque’. resta il fatto che il mio frullatore è attualmente disoccupato, quindi può essere che abbia ragione io. oltretutto, che ne sa un frullatore di lettere motivazionali?). 
dunque, dicevamo, sarà il caso che mi presenti (evitando le crisi di identità che mi perseguitano da secoli, che, diciamolo, hanno anche i loro lati positivi. tecnicamente, sui trasporti pubblici, ad uno schizofrenico andrebbe applicata la tariffa sconto comitiva).
sono tendenzialmente scettico.
il che è un casino, se ci pensate, perché uno scettico non è mai molto sicuro di esserlo, onde evitare curiosi paradossi apparentemente risolvibili solo con una approfondita conoscenza della teoria dei tipi di russell (il primo a scrivere ‘beh, non è carina, è un tipo’).
ho una fastidiosa quanto inutile laurea in filosofia, mi sono occupato di comunicazione on line per una minuscola azienda di servizi internet, scrivo sceneggiature per colloqui di lavoro (che in omaggio al neorealismo finiscono tutti male), parlo 4 lingue (spesso tutte insieme) e come tutti i creativi ho un blog inutile che potrete visitare e, nel caso, segnalare ad un centro di igiene mentale. 
attualmente ho lavoro fisso le cui mansioni sono rispondere al telefono, scrivere su word, disegnare piante con archicad (se la cosa vi può interessare, non vanno disegnate verdi) e, come potete immaginare, tutto sommato mi sento soddisfatto e sovrautilizzato.
ma, inspiegabilmente, avere uno stipendio e sopravvivere fino a fine mese mi fa pensare che sia la scelta giusta.
in caso voleste, posso scrivere anche cose intelligenti tipo: "sono una persona solare, credo che la migliore caratteristica per un lavoro in team sia la propensione ai rapporti umani e una spiccata attenzione alla qualità del prodotto, e non avrei mai pensato di lavorare per voi, sono qui solo per accompagnare un’amica", ma non so se l’apprezzereste davvero.
mi rendo conto che questa lettera motivazionale ha preso una piega un po’ bizzarra. 
l’idea di base è che sono abbastanza motivato per rispondervi, ma non abbastanza motivato per lavorare con voi.
immagino che per voi questo sia un duro colpo, e ora stiate piangendo nelle vostre camerette chiedendovi come sia potuto accadere.
lo so, mi dispiace. ma sono pur sempre una persona che sta rispondendo ad un annuncio in cui le si chiede di lavorare gratis, che vi aspettavate


martedì 29 luglio 2014

dopo venticinque giorni di pioggia e temporali praticamente ininterrotti e un sabato sera a milano (dove, dopo tre o quattro bagni in una vasca di autan, posso comodamente assistere a fenomeni di hipsteria di massa) finalmente parto per una settimana verso un posto caldo, al mare, a 1600 km a sud di qui.
appena atterra l’aereo comincia a piovere.
valuto alcune ipotesi plausibili tipo: cambiare il mio nome in rob eddiemac kenna, cambiare pianeta presentando una protesta formale alle divinità preposte al controllo del clima, mettermi a piangere.
in ogni caso, almeno non fa freddo e in ogni caso, al mare ti devi pur bagnare.
il giorno dopo il tempo migliora, e devo panarmi con della crema protezione 50 perché la mia pelle improvvisamente si sta chiedendo che cazzo è quella roba gialla lì in alto, nel cielo. fortunatamente qualche giorno dopo torno a casa, ci sono 16 gradi, ed è di nuovo novembre.
lunedì mattina, dopo il solito temporale notturno (da non confondere con il temporale pomeridiano, che di solito è più violento) esco per un breve controllo danni.
i funghi ornano il giardino verde e rigoglioso, le nuvole tutto intorno sono cariche di pioggia e pronte per un nuovo round stile niagara falls, mentre le surfinie hanno optato per il seppuku rituale e adesso istoriano il pavimento del balcone. insomma, tutto normale.
io arrivo in ufficio con la canoa di ordinanza, saluto noè che mi guarda con occhio lubrico e accendo il pc dell’ufficio.
dopo pochi minuti la linea fastweb avverte un tremito nella forza, poi in un disperato afflato di dignità decide di suicidarsi.
le istruzioni in caso di suicidio di linea fastweb sono, nell'ordine:
1. chiamare il servizio clienti dove la chiamata da fisso è gratuita (peccato che senza linea telefonica il telefono fisso abbia qualche difficoltà strutturale) mentre quella da cellulare è a pagamento secondo il proprio piano tariffario, e dopo alcuni minuti una voce automatica ti informa che sono state segnalate anomalie nella zona, quindi se proprio sei così cretino da voler parlare con un essere umano puoi schiacciare il tasto 9 e risponderà il primo operatore disponibile, a maggio del 2017.
2. visitare la pagina web di fastweb o mandare una mail al servizio clienti (ma essendo impossibilitati a inviarla telematicamente, probabilmente intendono che bisogna inviarla telepaticamente. io ci sto lavorando, ma ancora non sono in grado).
3. levare corrente al router per 10 secondi.
opto per la soluzione n. 3 (che è un po’ come cliccare “mi sento fortunato” sulla pagina di google, il che dovrebbe avvertirmi del fatto che sto facendo una minchiata) e stacco l'alimentatore del router, un glorioso ac/dc adaptor made in china.
il router trasmette la prima strofa di highway to hell, poi i due maschi dell’adattatore iniziano a saltellare molleggiando in perfetto stile angus e malcom young e non c’è verso di rimetterli nella presa per ridare corrente al router.
le istruzioni in caso di suicidio dell’adattatore di corrente per il router sono, nell'ordine:
1. ripetere il punto 1 precedente fino a maggio 2017.
2. mettersi a piangere.
3. cercare un negozio di componenti elettrici aperto e/o elettricista disponibile.
il lunedì mattina il negozio di componenti elettrici aperto più vicino sta dalle parti di alpha centauri e un’elettricista disponibile è l’esempio classico che usano i professori di linguistica per spiegare agli studenti cos’è un ossimoro.
nei lunedì mattina fra luglio e agosto scende direttamente un angelo del signore vestito di luce che ti indica all’universo e nel frattempo ride in modo curiosamente simile alla sigla di scacciapensieri sulla tsi.
per non inimicarmi l’angelo me la prendo con il buddhismo, insinuando che esista un lama donna, e che questa indulga in meretricio o comunque pratiche di dubbio costume morale.
la sera torno a casa, mi verso una tanica di montenegro e mi infilo in un deumidificatore.

venerdì 11 luglio 2014

“tornando a casa, troverete i gattini. date una carezza ai vostri gattini e dite questa è la carezza di eddie. troverete qualche vomito da asciugare, dite una parola buona. eddie è con noi”

mi sveglio con la tipica verve da ivan mladek e passo buona parte della mattinata dietro una peugeot 207 nera guidata da un ragioniere di breisach am rhein, animalista convinto, che tiene una velocità di crociera adeguata in modo da frenare con margine in caso attraversino dei bradipi in prossimità dei tornanti.
non che ci siano bradipi da queste parti, ma non si sa mai. la prudenza non è mai troppa.
piove e fa freddo (ma in effetti, per essere novembre, non fa poi così freddo) anche se obiettivamente bisogna riconoscere che ogni tanto smette di piovere e inizia a diluviare.
però, sull’onda emotiva dei mondiali di calcio, (in effetti è strano che quest’anno i mondiali li facciano a novembre), verso sera, nell’intervallo di venti minuti fra i temporali (quella che in gergo tecnico si chiama “finestra temporale”) io e alcuni gnomi di passaggio che tifano olanda e campeggiano sotto i funghi del giardino, organizziamo partitelle amichevoli.
si gioca due contro due e sostituzioni ogni 50 secondi, il giusto tempo necessario al mio fisico per accumulare un cospicuo debito di ossigeno ma subito prima che subentri l’ipossia.
l'idea iniziale era quattro contro quattro e portiere volante ma non riuscivamo a staccarlo dall'auto.
la sera, dopo un periodo di riflessione sulla relazione degli elementi dell’universo, mi ritrovo (in realtà non mi ero mai perso) a bere birra fare domande esistenziali a un tavolo del bar.
il tavolo del bar, inspiegabilmente, non mi risponde. ci ho riflettuto un po’ e credo faccia così perché è riservato.

lunedì 23 giugno 2014

italia costarica 0-1

19.06.2014, arena pernambuco* di recife, va in scena la seconda partita dell’italia al mondiale brasiliano.
l’italia schiera la solita formazione fatta negli spogliatoi, con l’estrazione dei numeri da un bussolotto fatta da un bambino cieco del nord est del brasile, per evitare favoritismi e rispettare il codice etico.
i sudamericani invece prediligono la cultura e schierano jorge luis borges, ruiz zafon, roberto bolanos, oltre al generale diaz passato al nemico, una scatola di zuppa campbell e altri personaggi minori e ininfluenti ai fini del risultato.
arbitra il cileno osses, che non ha una grande esperienza internazionale ma ha grande resistenza fisica ed è bravissimo nella corsa**
il clima è la grande incognita della partita. la fifa apre alla tecnologia e permette che si possa controllare la temperatura su un termometro per capire quanti gradi ci saranno: secondo le stime 27 gradi ma ne verranno percepiti 38 dai costaricani e 47 dagli italiani, che hanno conformazioni fisiche differenti. quindi niente time out, che forse verranno presi in considerazione come tecnologia avanzata del 2022, quando si giocherà in qatar a 72 gradi percepiti.
peraltro, sarebbe bastato allenare la nazionale italiana dove abito io nei periodi che precedono i temporali estivi (che sono circa due al giorno) e l’umidità di recife sarebbe stata una passeggiata di salute nel clima secco e soleggiato dell’equatore.
dopo una breve corsa di riscaldamento, quando l’arbitro fischia l’inizio gli italiani smettono di correre per solidarietà con immobile, relegato in panchina, e tengono 13 uomini dietro la linea del pallone.
ma ripercorriamo le azioni salienti della partita:
8' colpo di testa di buffon che esce a fumare una sigaretta e colpo di testa di jorge luis borges che esce sopra la traversa.
26’ sponda di balotelli per thiago motta*** che si ricorda di essere brasiliano e sbaglia apposta.
31’ balotelli solo davanti al portiere decide di non tirare e prova un cross per un amico immaginario.
35’ l’italia è in grossa difficoltà soprattutto perché non sa decidere se si dice “il costarica” o “la costarica”**** e c’è qualche problema di comunicazione in difesa. alla fine si mettono d’accordo su “’sti stronzi che arrivano da tutte le parti e corrono come dannati, mannaggia a loro” ma la locuzione è leggermente impegnativa per le facoltà verbali dei difensori.
42’ zuppa campbell cade in area sgambettato da un paracarro che assomiglia a chiellini. sembrerebbe rigore ma l’arbitro decide di non infierire.
44’ mentre gli italiani stanno ancora decidendo se “costaricani” possa sembrare un insulto e propendono per un più innocuo “costarigatti” ruiz zafon segna per i sudamericani. gol certificato anche dalla tecnologia*****.
45’ intervallo




46’ la fifa si accorge che l’italia aveva un brasiliano in campo e chiede il cambio. esce thiago motta, entra un frigorifero.
47’ balotelli si tuffa in area ma, non essendo piovuto, il match di pallanuoto non è previsto dalla scaletta; la fifa fa sapere che da regolamento rigori così li possono fischiare solo arbitri giapponesi alle squadre di casa.
52’ l’unico modo per tirare in porta sono le punizioni di pirlo da 72 metri, ma il portiere è un costaricano da guardia e il pallone non entra.
54’ esce candreva, entra un ferro da stiro.
73’ esce marchisio, entra un palo della luce. l’italia ora ha 4 attaccanti, ma a causa di un passaggio di un treno merci sono tutti fermi al passaggio a livello.
84’ la costarica è minacciosa su tutti i fronti, mentre l’italia sta cercando di sfiancare la difesa avversaria con una serie ininterrotta di diciotto fuorigioco consecutivi. tattica molto aggressiva ma inspiegabilmente infruttuosa.
92’ l’italia capisce che è il momento giusto per crederci e infatti la costarica sfiora il secondo gol in pieno recupero.
94’ finisce incredibilmente 1-0 per la costarica.
ora l’italia è costretta a non perdere con l’uruguay per continuare il mondiale, l’unica preoccupazione è che gli uruguaiani sono più abituati di noi a questi climi, ma anche a giocare a calcio

* in caso di pioggia, viste le condizioni del campo, è previsto un match di pallanuoto; il nome dello stadio verrà cambiato in pernambuco nell’acqua
** dalle sue prestazioni nei test fifa viene il detto “correre come un osses”
*** gli italiani avrebbero voluto prendere thiago silva che è decisamente meglio, ma c’è stato un casino all’anagrafe, e si sono dovuti accontentare
**** non ho idea di come si dica. ma in caso fosse “il costarica” pretendo che si dica anche “il costa d’avorio”
***** da quest’anno la fifa ha permesso alcune innovazioni tecnologiche: ci sono delle telecamere sulla linea di porta, l’arbitro ha un orologio digitale, si può usare l’altoparlante dello stadio e le squadre hanno potuto arrivare in brasile in aereo e non più in nave

giovedì 5 giugno 2014

mi sveglio e sotto la mia finestra c’è un coro di leprecani da giardino che canta whisky in the jar nella versione per setter nani e theremin.
capisco subito che sarà una giornata complicata (come quando si apre il vaso del pandoro ed escono tutti i mali di zucchero filato).
fuori piove, ci sono 14 gradi, e non fa neanche così freddo, per essere febbraio.
chiamo alcuni semidei del call center clima ma trovo una segreteria telefonica che mi assicura che siamo a giugno e di richiamare fra qualche mese. chiedo la verifica del notaio, ma mi rispondono che è impegnato in un tour con i leprecani: pare che alla fine abbiano trovato un impresario che li fa esibire nei campi di granturco e riscuotono un grossissimo successo fra le pannocchie.
per evitare problemi vado su sanitamentale.com e ordino una fascia copri neuroni del dottor gibaud.
nel frattempo cerco un mantra da ripetere in caso di attacchi di panico e scelgo “c'era una volta un re bemolle seduto sul sofà diesis”, poi vado in ufficio.
ora me ne sto qui con una faccia da miominipony a contare extraterrestri che mi telefonano sul cellulare.
voglio dire, finora nessuno, ma io sono pronto a contare.

mercoledì 28 maggio 2014

esco dall’ufficio e si scatena il diluvio universale.
erompono tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si aprono, mentre in lontananza vedo noè che ha noleggiato un pullman gran turismo e sta aspettando due liocorni tedeschi.
entro in macchina e smette di piovere.
arrivo in giardino, posteggio la macchina e mi avvio verso casa quando si scatena il remake del diluvio universale.
il cielo comincia a prendermi a secchiate d’acqua e io arrivo a casa nuotando a rana, mentre in lontananza vedo noè che ha trasferito tutti su un battello della navigazione laghi e mi fa ciao con la manina.
entro in casa e smette di piovere.
forse l’universo vuole dirmi qualcosa.

il giorno dopo vengo reclutato per una serie di vaste operazioni di difesa del pianeta e della supremazia di homo sapiens, ma qualcosa deve essere andato storto durante il mio addestramento

mercoledì 7 maggio 2014


difendere la terra dei paperi 
di amedeo w. minghi*


è tempo di sfatare il mito della presunta “americanità” di walt disney, con una rilettura che mette in discussione i pregiudizi e i luoghi comuni sulla sua opera, a partire dal filone interpretativo che vorrebbe walt disney al servizio dell’egemonia statunitense in funzione anticomunista e che gli muove accuse infamanti come quelle di essere stato un antisemita, un simpatizzante nazista, un referente dell’fbi.

in “difendere la terra dei paperi” (di prossima pubblicazione) abbiamo cercato di contestualizzare la famiglia de’ paperoni rimarcando come occorra separare la portata sociale della saga disneyana dal tourbillon di logiche di mercato che ne hanno de facto sancito la commerciabilità nel senso più bieco del termine e l’hanno ridotto a entertainment per eccellenza, scevra macchina da soldi invece dell’originaria macchina da sogni che evidentemente ancora possono esperire le nuove e vecchie generazioni.
occorre anche contestualmente smantellare il vecchio pregiudizio dei letterati che considerano il fumetto come paraletteratura, dequalificandolo così a mero svago o espediente per intrattenere il lettore allontanandolo dalla realtà, relegandolo in quell’ambito infantile che l’intellettuale blasé ha il torto di avere dimenticato e che invece costituisce il prodromo dell’essere umano adulto.
ben lungi dall’essere foriera di disimpegno e paladina della letteratura di evasione, la famiglia dei paperi riproduce la complessità delle dinamiche sociali introducendo però, a causa del target sottointeso, un elemento pedagogico che non può passare inosservato a un attento indagatore delle panoramiche intellettuali degli anni ’50 e ’60.

la prima e più evidente è sottolineata da ervin anneson in “fenomenologia dei paperi” che decostruisce il rapporto fra paperone e paperino, il miliardario accumulatore e lo sfaticato perdigiorno che costituiscono l’ossatura principale di gran parte delle storie dei paperi: si può inevitabilmente notare come è sempre il miliardario (vorremmo dire: il potere costituito dalla borghesia arricchita) a coinvolgere lo sfaticato in mille imprese, (fallimentari e non, ma non è questo il punto) così da risultare palese che è il ricco ad aver bisogno del povero, nel classico rovesciamento della dialettica servo-padrone di stampo hegeliano che qui trova l’espressione più concreta mai utilizzata in letteratura.

ma lo scardinamento dello status quo sociale è insito prima di tutto nel rapporto che intercorre fra i paperi e nella negazione del concetto di famiglia borghese e cattolica.
le interazioni non sono dettate dal rigido protocollo genitore – figlio, ma da una famiglia allargata, in cui le convenzioni sociali vengono rimodellate in senso libertario.
nessun matrimonio, gestione della prole a carico di tutti e individuazione di due figure di riferimento che riassumono il patriarcato (zio paperone) e il matriarcato (nonna papera, una sorta di saggia yiddische mame) che comporta non solo la parità dei sessi tout court, ma pare addirittura decisamente sbilanciato verso la seconda opzione. non per niente jules guattari in “paperopoli e barbarie” (ed. theoria) arriva a considerare la famiglia dei paperi un esperimento di socialismo utopistico mutuato dai falansteri di fourier

procedendo per brevi tratti, ricordiamo sommariamente come esistono ampi studi (per brevità citeremo solo la scuola di pensiero del prof. colmar e del dipartimento di filosofia teoretica dell’università di lovanio che ha appena pubblicato “la repubblica di platone e la stampa di paperino”) che dimostrano come paperino incarni l’egualitarismo sociale e la ricerca del bene in senso platonico, inteso sia come contemplazione (e in questo senso egli è il filosofo per eccellenza) sia come custode del bene comune.
sulla stessa linea si inserisce la profonda riflessione di darko žinfeln che in “paperoga anarco punk” analizza la rappresentazione dell'anarchismo pacifista, epitome della resistenza non violenta e della disobbedienza civile, in cui si possono riscontrare le tematiche della sinistra antagonista e del rifiuto della società oppressiva. il fatto stesso di essere talvolta rappresentato come giornalista rende paperoga sensibile ai linguaggi della comunicazione e al rapporto con i mass media, facendone di fatto un meta-comunicatore.
i temi dei rapporti di produzione, lo sguardo verso il futuro, il razionalismo ateo e la tecnologia serva del popolo sono riassunti nella figura di archimede, soviet ed elettricità, il dominio dell’uomo e del lavoratore sulla natura borghese.
se archimede è stachanov, ciccio è il suo contraltare naturale, charles boycott (non per niente è legato all’ambito terriero), e incarna il valore della ribellione passiva, che passa per il sit-in di protesta, per l’inazione.
come già riportato in “analisi strutturalista da althusser a zio paperone” (scaricabile gratuitamente da questo sito) paperone, evidentemente, riassume la teoria marxiana del plusvalore, e svolge un’analisi completa del valore del capitale nella società contemporanea.
inoltre, il professor bogdan ursus, di recente intervistato a una conferenza su walt disney a timisoara (intervista che stiamo traducendo e sarà disponibile a breve) mette in relazione le affinità delle esperienze di qui, quo e qua con i giovani pionieri (in romeno “organizația pionierilor”): la cura dell’ambiente, la condivisione dei mezzi di sostentamento, il rigore morale dei nipotini incarna le figure del comunismo giovanile a scapito delle mollezze della gioventù capitalista.

si può quindi sostenere che la portata eversiva dell’opera di disney, lo scardinamento dello stato autoritario a favore di una ribellione gioiosa e non violenta, siano espliciti in tutta la saga dei paperi.
risulta quindi chiaro come, al di là di fraintendimenti, equivoci, mistificazioni, la famiglia dei paperi rappresenta la mitopoiesi della sinistra nelle differenti classi sociali che la popolano, senza perdere la genuinità e l’identità di “nazione dei paperi” e in un certo senso collocano la serie come uno degli esperimenti di letteratura più aderenti al socialismo utopico del ventesimo secolo.

* amedeo w. minghi è l’ultima release degli amedeo w. minghi, un collettivo di scrittori nato dall’esperienza del centro sociale “eric gerets” di tesserete e in seguito alla base dei più effervescenti movimenti culturali del basso ceneri. del collettivo w. minghi ricordiamo ricordiamo il saggio “essere e fuoritempo: il percussionismo nella controcultura degli anni ‘70” e “mary poppins e la destra sociale: un’analisi situazionista sulla decostruzione del mito”

mercoledì 30 aprile 2014

“quando una tecnologia è sostituita da un'altra tecnologia, la tecnologia precedente o diventa arte o muore” marshall mc luhan

ciao, sono una tecnologia precedente.
qui fa a freddo.
in strada incontro un gruppo di orsi bianchi che deve aver preso una strada sbagliata, da qualche parte della banchisa ma ha deciso di stabilirsi qui perché il clima gli ricorda casa. però sono incazzati perché, come al solito, piove.
il comitato centrale per il controllo del clima ha emesso un comunicato stampa con cui dichiara che sono tutti in ferie in paesi caldi e comunque c’è disponibile al pubblico un call center rotto.
io sto cercando di finire un lavoro inutile (nonostante quello che pensa la maggior parte delle persone, quasi tutti i lavori sono inutili*) quando un messaggero travestito da ottone iii mi avverte che devo assolutamente presenziare a una conferenza sulle coltivazioni di luppolo nel dipartimento del basso reno (detto anche reno nano).
cerco nel cassetto della scrivania la mia mappa astrale (il saggio del professor edelweiss “orientarsi fra piano astrale e piano steinway” ed. theoria), e mi metto in viaggio.
non ho granché idea di quello che sia successo dopo. tutto quello che ricordo è che potrei aver disquisito di difesa a zona con un armadio (o forse era una gigantografia di hans peter briegel) e aver mangiato una tartes aux trois fromages (roquefort-chèvre-munster) in riva a un fiume. ma potrei anche sbagliarmi.
quando riprendo conoscenza mi chiudo in camera a scrivere versi intimisti (gli intimisti sono un gruppo andino, come gli intillimani, solo che ci sono anche donne).
in caso voleste contattarmi, non usate il citofono astrale, che è rotto e il tecnico astrale fa il ponte lungo (in pratica si mette in strada e imita una stazione metropolitana di roma; voi, comunque, non fatelo).

* certo, alcuni più, altri meno. secondo arnold kramar, docente di psicolinguistica applicata all’università circondariale di bergheim**, il lavoro più inutile del pianeta sarebbe quello dei mungitori; molto meglio quello di mungimucche, che almeno hai il latte)
** a causa di una discussione accademica sull’immanenza dell’essere, presto trasformatasi in faida interna, l’università circondariale di bergheim potrebbe dividersi in bergheim di sopra e bergheim di sotto.

lunedì 14 aprile 2014

alert box: spegnere il cervello in caso di pericolo

è un periodo un po’ così. pieno di subordinate.
alvin krankensson, nel suo nuovo saggio “cronotopo e autogatto” analizza le diverse possibilità di fuga in un universo a tre dimensioni (quelle che conoscete voi), in universo a quattro dimensioni (lo spazio tempo), e in un universo a cinque dimensioni (spazio tempo supplementare) concludendo che in un universo a n dimensioni i casini ti raggiungono sempre in n+1 dimensioni.
beh, sono molto d'accordo. a parte i tombini, dico, nessuno ci guarda mai, nei tombini.
ho chiesto lumi a degli ufi di passaggio su quella storia dei rapimenti concordati, ma pare che per ora pare abbiano perso interesse alla razza umana e si stanno dedicando a specie più evolute, tipo i suricati. chi può dargli torto.
quindi mi trovo bloccato qui a tifare per un evento positivo in grado di svoltarmi la giornata, che so, un reset di sistema, un asteroide di passaggio, un’ecpirosi.
il mio maestro di pancabbestiafit (un ghiro pratico di fasce muscolari) mi ha messo dello scotch sulla schiena (non quello che si beve: quello è un genere di tortura che non verrebbe in mente neanche a lui) e ora la mia mobilità articolare ricorda molto da vicino quella di un bastoncino di shangai. ma prima era peggio, quindi forse è una buona cosa (pollyanna scorre potente in me).
in compenso sono appena diventato cintura nera di prenotazione e ricevo commesse da tutto il pianeta per l’organizzazione di eventi a titolo gratuito (volete mangiare in un ristorante afghano a timor est? state organizzando un viaggio in mongolfiera da einsideln a bishkek? volete noleggiare un’auto nel centro di venezia? chiamatemi. basta che la carta di credito sia la vostra).
l’unica cosa che mi rilassa è quando mi sdraio sul divano ad ascoltare il vento. il che ha il suo lato positivo, visto che il vento non parla.
la sera esco furtivo a portare fuori l’umido e mi porto la pila per fare i segnali luminosi agli ufi, hai visto mai che mi scambino per un suricato.

venerdì 28 marzo 2014

dopo una subdola illusione di primavera, fatta apposta per confondere le primule e i tedeschi, ha nevicato fino a 400 metri (è l’altezza a cui ha nevicato, non l’altezza della neve).
quindi le primule sono gelate (i tedeschi no, purtroppo, ci sono abituati), il cielo ha assunto una tonalità di grigio che i locali chiamano amichevolmente “ampelio” e sta per essere brevettata dalla pantone come colore più deprimente del decennio, mentre la tramontana soffia come se dovesse recuperare un quadrimestre di latino.
in queste particolari condizioni climatiche, grazie ad anni di studi e meditazione presso alcuni maestri orientali e la padronanza delle tecniche geomantiche, acquisto un nuovo superpotere: posso emanare elettricità e passare energie vitali alle macchine, ai citofoni, alle serrature, e in genere a tutto ciò che è metallico, di modo che l’universo è tutto uno sfrigolare di scintille e ringraziamenti alle divinità ctonie. o forse ho solo sbagliato a comprare le scarpe.
nel frattempo io e martina navratilova scegliamo i nomi per una band che fa cover di dylan, creedence clearwater revival, simon & garfunkel e cose del genere.
non dovreste meravigliarvi, è un’occupazione come un’altra, tipo bere sambuca in pausa pranzo, ordinare racchette da ping pong su amazon, passare il tempo a farsi inseguire dai collie (i collie sono i cani dei corrieri).
abbiamo selezionato:
- enrico cover band
- peter paul and mario
- olio 31
- i radiatori della centrale termica
ma alla fine abbiamo optato per l’ultimo, che ci consente di organizzare una serie di eventi nella svizzera italiana con lo slogan “radia tour 2014”.
la sera mi infilo il mio costume da robert musil, poi mi metto alla scrivania a scrivere un breve romanzo di formazione di ampio respiro. sto lavorando a diverse versioni plausibili, ma penso che la versione definitiva sarà questa: zoff, gentile, cabrini, bergomi, collovati, scirea, conti, oriali, tardelli, rossi, altobelli.

mercoledì 5 marzo 2014

arrivo in ufficio mentre il mio sistema limbico è in viaggio verso una beauty farm con vasca idromassaggio e il resto del telencefalo sta contrattando due giorni di ferie con un terapista occupazionale proveniente da una dimensione parallela governata da un fenicottero, due gnomi e un rappresentante della vorwerk che ha sbagliato strada a un incrocio dimensionale.
il risultato è che io ho gli occhi aperti, ma se qualcuno si avvicinasse alla mia pupilla sinistra vedrebbe esposto un cartello con scritto “prove tecniche di trasmissione”.
secondo alcune teorie olistiche, se hai bisogno di qualcosa difficile da ottenere, puoi chiedere all’universo. sempre che tu abbia il suo indirizzo mail, ovviamente.
io pensavo di chiedere un vitalizio mensile e qualche bene immobile di piccola pezzatura, anche se in caso di emergenza potrei accordarmi per un lavoro meno surreale e un deumidificatore.
apro il cassetto della scrivania e viene fuori un germano reale travestito da aleksej grigor'evič stachanov che mi guarda come se avessi sbagliato candeggio e scrolla il becco.
so cosa state pensando, i germani reali in genere non vivono nelle scrivanie e non si travestono da stachanov, quindi devo essermelo immaginato.
beh, vi sbagliate. è una questione di logica, se è un germano reale, non può essere immaginario.
verso le 19.30 arrivo a casa, provo ad attaccare la lavastoviglie, ma non ho abbastanza colla.
fuori, stranamente, piove.
spengo il radiofaro e vado ad annegarmi nel san simone*

* nessun canonizzato è stato maltrattato durante la stesura di questo post

sabato 15 febbraio 2014


esercizi di stile* 
studio # 104
natura morta con autobus vista mare



alla fine non è male avere sette anni ed essere in giro da solo in un posto che non conosci, così lontano da casa, e vedere il mare dall’alto. 
che io al mare ci ero stato una volta sola prima, a milano marittima, e mi era piaciuto anche se non sapevo nuotare e mi tenevano sempre in pineta perché dicevano che il sole mi rende nervoso. 
mi piace vedere il mare, anche se è fine settembre e non ci va quasi più nessuno, e mi piace che qui non mi conosce nessuno anche se poi sono tutti gentili, tipo l’autista dell’autobus che mi ha spiegato dove dovevo scendere.
mi piacciono un sacco di cose, a pensarci. 
mi piace: leggere, correre, infilarmi negli armadi, anche se poi negli armadi è buio e non riesci mica tanto a leggere. mi piacciono le persone allegre e quelle che ti sanno ascoltare anche se sei piccolo.
ci sono anche cose che non mi piacciono, comunque.
non mi piace: fare le punture, mangiare, quando ti dicono che sei troppo piccolo (sono piccolo, mica stupido), quando i grandi mentono. 
che a me mi dicono sempre che non bisogna dire le bugie, e io ci avevo anche creduto, che io sono davvero bravo a fare quello che mi dicono. e quando ho scoperto che i grandi invece le dicono, le bugie, sono stato male e mi sono chiuso nell’armadio per un sacco di tempo. forse è solo che l’ho scoperto troppo presto, forse dovevo scoprirlo da grande.
l’unica volta che non mi arrabbio quando i grandi dicono le bugie è quando ti dicono che andrà tutto bene, e che si sistemerà tutto, e ti tengono stretto e hanno un buon profumo. che io lo so che non si sistema niente, devi solo adattarti alle cose che succedono, ma mi piace sentirmelo dire, e mi piace che mi tengano stretto.
che in fondo è questo che facciamo noi bambini, ci facciamo scivolare addosso quello che succede, così che da grandi possiamo diventare dei disadattati senza problemi.
la prima volta che ho provato a scappare di casa non sapevo dove andare e mi sono fermato sulla porta di casa. 
la volta che sono scappato davvero, invece, sono stato fino a sera nascosto sul balcone delle scale al quarto piano. forse non ho fatto molta strada, ma era perfetto, non ci va mai nessuno sui balconi delle scale condominiali.
però poi sono tornato a casa perché la sera avevo freddo. quando a cinque anni scappi di casa non sai che ti servirà una felpa.
anche adesso potrei scappare, o nascondermi nei tombini, che non ti trovano mai, nei tombini, invece di andare in quella casa strana che è più bella della mia e si vede il mare, ma dentro c’è gente che non conosco. però so già che alla fine ci vado, perché mi aspettano, e perché faccio sempre quello che mi dicono, che sono un bravo bambino, anche se a volte vorrei non esserlo.




* questo per dire che oltre alle robe serie che scrivo di solito, so anche scrivere minchiate. solo che non mi va, tutto qui.

martedì 11 febbraio 2014

mi sveglio e il mio cervello trasmette in loop "vola mio minipony" (so cosa state pensando. ma non è tanto peggio di "gira gira gira, scegli rotowash").
martina navratilova sta ballando hesitation blues* nella versione di jorma kaukonen riarrangiata per lavandino e stendipanni elettrico e, come al solito, piove.
un team di esperti ha stabilito che il problema non è dato dalla nuvolosità dell’area ma da un’unica nuvola di dimensioni oceaniche (che per comodità chiameremo cumulonembo kid) che ha deciso che gli piace la zona.
io mi sdraio sul divano e guardo irlanda galles con il commento di vittorio munari e woody woodpecker.
lo so che vittorio munari non legge questo blog (neanche woody woodpecker, suppongo. in realtà pochissima gente legge questo blog e quasi nessuno è sano di mente; mi sta bene così) ma dato che stanley milgram ha dimostrato empiricamente la validità della teoria dei sei gradi di separazione**, nel caso lo conosceste, fategli sapere che se passasse da queste parti e sentisse il bisogno di una birra o di un bicchiere di vino, offre la casa.
la sera ho un appuntamento in una taverna di ásgarðr (serata country con fagioli e salsiccia e birra a caduta. le divinità norrene ne vanno matte) dove io e un cavedano disquisiamo di evemerismo e metafisica applicata al rugby.
quando torno a casa provo a comunicare con le astronavi degli ufi in orbita, ma la pioggia disturba le trasmissioni.

* ho provato anche io, ma sembro un autistico con problemi di deambulazione e spasmi estemporanei; lei è molto più brava.
** a dire la verità anche io ho sperimentato empiricamente la teoria dei sei gradi di separazione. è facile, basta alternare un bicchiere di jack daniels e un bicchiere di blanton's, ad libitum, finché non svieni sul pavimento. inspiegabilmente, il mio esperimento è meno famoso di quello di milgram.


ultim’ora
è in arrivo sulla piattaforma sky una nuova sitcom con protagonista una disegnatrice di fumetti alle prese con i colleghi, il lavoro e problemi di alcolismo. la nuova serie, che prende il nome dalla protagonista e dalla sua passione per il vino italiano, andrà in onda in seconda serata e si intitolerà hanna & barbera.

sabato 25 gennaio 2014

io e martina navratilova siamo appostati alla finestra a guatare i movimenti di secret squirrell (il che sarebbe perfetto se non fosse buio pesto. abbiamo provato anche con il buio ragù, ma non ha funzionato lo stesso; in ogni caso, non disperiamo) quando la voce di robert burns, proveniente da una dimensione spaziotemporale che si palesa a giorni alterni nel mio frigorifero, mi ricorda che a) è quasi ora di cena, b) è ora di organizzare un viaggio in scozia e c) salute.
(nessuno vi ha costretto a leggere, occhei?).
comincio a lavorare al computer per cercare un itinerario plausibile per girare le highlands e capire se è possibile trovare un biglietto a/r che non richieda di impegnare un rene in una clinica svizzera (la risposta pare sia no).
cinque minuti dopo si impalla mozilla.
esprimo la mia contrarietà manifestando alcune pacate rimostranze alla divinità del libero browser (godzilla) e comincio a preparare la cena.
cinque minuti dopo si impalla la cena.
deve essere la giornata nazionale della bestemmia e nessuno mi ha avvertito.
il mattino dopo arrivo in ufficio con la faccia da réclame della morte improvvisa e passo metà del mio tempo a disquisire di autenticità e riproducibilità con una fotocopiatrice.
io e il ficus benjamin sosteniamo che le nuove tecniche riproduttive non permettano di distinguere l’originale da una copia, lei si ostina a sostenere che le tecniche odierne sono un metodo fascista per assoggettare le masse e, per evitare che l’originale perda la sua aura*, la copia è chiaramente indicata dalle righe orizzontali che occupano l’intero foglio.
il dibattito si fa aspro ma ottengo valorosamente la vittoria quando minaccio di staccarle la corrente.
il resto della giornata lo passo a interrogarmi sull’etimologia dell’espressione “bau cetti” e a chiedermi se nel caso di gatti è filologicamente corretto parlare di “miao cetti”.


* questo rivaluta in chiave metafisica il testo della canzone “l’aura non c’è, è andata via, l’aura non è più cosa mia”

martedì 7 gennaio 2014

piove.
non che sia una novità, del resto.
ma è tipico di homo sapiens cercare novità, hanno anche inventato quella cosa di dividere il tempo in anni, in modo da avere anni nuovi, anni vecchi, anni usati sicuri.
l’idea che l’anno esista, se non sei un agricoltore o un astronomo, è già strana di per sé, ma posso anche capirla: homo sapiens è affascinato dai pattern e dagli schemi ricorsivi, e bisogna ammettere che questo ha i suoi vantaggi; ma l’idea che l’anno abbia un inizio è così ridicola che alcuni ufi in questo periodo tendono a comunicare meno con gli esseri umani e più con specie più evolute, tipo i lemming o i bonobo.
lo so che questa cosa che sul pianeta terra esistono specie molto più intelligenti ed evolute di homo sapiens tende ad essere sottovalutata dagli esseri umani.
del resto, non è strano che gli esseri umani tendono a risultare primi in test di intelligenza (non tutti, a dire la verità) inventati da altri esseri umani. se i bonobo inventassero dei test per misurare l’intelligenza, sono abbastanza sicuro vincerebbero i bonobo. ma i bonobo non hanno mai inventato dei test di intelligenza, e questo dovrebbe insegnarci qualcosa.
in ogni caso, se chiedete agli ufi (sempre che vi rispondano e non siano impegnati a parlare con i lemming) vi diranno che homo sapiens è così idiota che praticamente da sempre identifica l’intelligenza con l’addestrabilità. certo, questo assicura una discreta capacità di sopravvivenza, ma non venitemi a dire che la qualità della vita non ne risente.
in ogni caso, il fatto che piova e che non si vedano ufi in giro, permette a me e a martinanavratilova di guardare alternativamente la finestra e il camino acceso, il che ci rende vagamente catatonici (o atarassici, come amano dire i filosofi, sono gli psicologi che hanno frainteso) e inclini alla speculazione.
come dicono a hollywood, “stupido è chi lo stupido fa”. tranne quando sei sottotono, che allora diventa “stupido è chi lo stupido mi bemolle”.
per il resto, divido il mio tempo libero fra il wild card weekend e il campari coaching.
so che non avete idea di cosa sia un coach di campari, ma è più facile di quello che sembra: il coach fa sedere la sua squadra al bar, meglio se a un tavolo, ma va bene anche il bancone (non direttamente sul bancone, sugli sgabelli davanti al bancone, sennò il barista si innervosisce). si fanno tre o quattro giri di campari per riscaldamento, poi il coach inizia con le combinazioni: campari in due con il bianco, campari e gin, campari alla goccia, dipende dalla creatività dell'allenatore. di solito più si va verso la fine dell'allenamento, più l'allenatore è creativo.