lunedì 25 luglio 2016

è buio, piove e fa freddo.
sono le 10.41 di venerdì 22 luglio, in un paese italiano non ben specificato, in una fascia climatica decisamente sbagliata.
dalla finestra, sale un odore acre di caffè tostato misto a umidità diffusa.
il giorno dopo sto rincorrendo un paio di gnomi in giardino (che per l’occasione si è trasformato in una succursale del pantanal) quando una delegazione di ufi sotto le sembianze di bertoni e dertycia mi chiedono gentilmente di aiutarli a pronunciare correttamente feldschlösschen, che, oggettivamente, per qualsiasi abitante dell’universo che non sia di madrelingua tedesca non è così facile da pronunciare al primo tentativo. 
tranquilli, in genere neanche al secondo (feldschlösschen figura nel guinness dei primati come il primo prodotto che avrebbe necessitato di un rebranding ancora prima di essere messo in commercio).
il problema della comunicazione fra i popoli dell’universo non è di banale risoluzione.
nonostante alcune interessanti proposte, come il trasmutatore di wolinsberg (una sorta di interfono progettato da aaron wolinsberg, che funziona come google translator ma su scala universale) e i nuovi tentativi empatici di un’equipe di scienziati che attualmente abitano su una stazione orbitante intorno ad alnitak (che però non funzionano su homo sapiens, perché non ha il cervello sufficientemente sviluppato per provare empatia), l’unica soluzione percorribile è ancora quella di studiare una lingua straniera.
in questi casi, l’alcol aiuta.
non è affatto un caso che alcune religioni considerino la glossolalia un dono dello spirito.
ad esempio, dopo due o tre birre io parlo perfettamente tedesco. l'unico problema è che i tedeschi non mi capiscono, ma credo dipenda dal fatto che loro sono ancora sobri.


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