lunedì 10 dicembre 2018

“non può essere un caso che in nessuna lingua terrestre esista l'espressione "bello come un aeroporto". gli aeroporti sono brutti. alcuni sono molto brutti. certi raggiungono un livello di bruttezza che può solo essere il risultato di uno sforzo consapevole. la bruttezza degli aeroporti dipende dal fatto che sono pieni di gente stanca e di pessimo umore che ha appena scoperto che i propri bagagli sono sbarcati a murmansk (l'aeroporto di murmansk è l'unico che fa eccezione a questa regola altrimenti infallibile), e gli architetti per lo più si sono sforzati di riflettere questo stato d'animo nelle loro creazioni.”
(douglas adams, la lunga e oscura pausa caffè dell’anima)

c'è una cosa che devo confessare.
mi piacciono gli aeroporti, so mica perché.
certo mi piace molto volare, mi sembra che dia un punto di vista leggermente più obiettivo del pianeta.
c’è questa cosa, a otto km di altezza, che tutto viene messo in una prospettiva più reale, che da terra si fa fatica a capire: ad esempio che il pianeta è uno, che le frontiere non esistono (se non intese come ostacoli naturali tipo montagne molto alte o mari molto grandi), che homo sapiens è completamente insignificante nell’ordine delle cose e che l’unico prodotto apprezzabile di homo sapiens, da quell’altezza, sia il fatto che abbia la tendenza a raggrupparsi in aree molto ristrette e riempirle di lucine, credo nel tentativo di avere la flebile speranza di contare qualcosa (niente può essere poco importante, se ha una lucina, no?).
forse anche mi affascinano i non luoghi, e poi ovviamente mi piacciono i viaggi, sono sempre carichi di aspettative e novità e cose da scoprire, e anche gli aerei, trovo che sia una cosa fantastica che possano volare anche specie che non hanno avuto l’intelligenza di farsi spuntare le ali.
ma mi piacciono proprio anche gli aeroporti, in alcuni ci ho pure dormito.
mi piace arrivare con molto anticipo, specie in quelli che non conosco, anche in quelli piccoli, ed esplorare tutto il possibile (solitamente mi fermo prima che i responsabili della sicurezza mi trascinino in uno stanzino buio e mi picchino con dei grossi randelli: i responsabili della sicurezza sono sempre molto suscettibili. è uno dei motivi per cui spesso mi sento molto più sicuro quando non c’è la sicurezza), mi piace guardare fuori dalle finestre, che di solito sono enormissime, e se sei molto fortunato si vedono gli aerei atterrare e decollare, e le persone al lavoro, ed è pieno di macchinari interessanti, e poi dentro ci sono le poltroncine dove ti fermi a leggere e nessuno ti può disturbare, e in alcuni aeroporti ci sono un sacco di cose stranissime, tipo le sale giochi, o le poltrone appese ai soffitti, e niente, è bellissimo.
a volte mi fermo anche a curiosare nei negozi, ed è strano, perché solitamente io odio entrare nei negozi, anche quando mi serve qualcosa, tipo un paio di jeans, o un paio di scarpe da tennis (è tutto quello che compro, ultimamente), e insomma, è una cosa che solitamente mi mette molto in difficoltà (avete presente quando siete in un negozio ed entra uno strano, vestito male, con i capelli arruffati? molto gentile, ma visibilmente fuori luogo e in imbarazzo? ecco, con tutta probabilità sono io. non chiamate la sicurezza, grazie).
poi lo so, molte persone hanno paura di volare (in realtà non è vero che hanno paura di volare, hanno solo paura di morire; e in ogni caso volare non ha quasi mai ucciso nessuno, è atterrare male che può creare problemi alla salute), ma trovo che statisticamente prendere un aereo sia comunque molto meno pericoloso di altre cose, tipo guidare un’auto, usare delle armi da fuoco o affidarsi a un leader populista.
ma poi insomma, di qualcosa si deve pur morire.

lunedì 3 dicembre 2018

come passa il tempo, quando ci si diverte

All’inizio del novecento l’America era spesso uno shock per gli immigrati italiani che, secondo gli storici Leonard Dinnerstein e David M. Reimers, “erano impreparati all’accoglienza gelida loro riservata da moltissimi americani”.
Spesso, a causa della nazionalità, si ritrovavano esclusi dalle opportunità di lavoro e di istruzione, e non potevano stabilirsi in certi quartieri per via delle clausole restrittive che glielo vietavano. In alcuni casi, gli italiani che si trasferivano nel profondo Sud erano costretti a frequentare le scuole per neri. All’inizio non era assolutamente chiaro se fosse loro consentito l’uso delle fontanelle e dei bagni per i bianchi.
Altri gruppi di immigrati – greci, turchi, polacchi, ebrei di qualsiasi nazionalità – incontrarono ovviamente pregiudizi simili; quanto agli asiatici e ai neri americani, pregiudizi e limitazioni erano ancora più fantasiosi e crudeli. Gli italiani, però, erano generalmente trattati come una sorta di caso speciale, considerati più volubili, inaffidabili e molesti di qualsiasi altro gruppo etnico.
Ovunque sorgessero conflitti, sembrava che alla radice del problema vi fossero gli italiani. La percezione diffusa era che, se non erano fascisti o bolscevichi, fossero anarchici o comunisti, e se non erano nemmeno quello, si trovassero comunque implicati nel crimine organizzato.
Perfino il New York Times dichiarò in un editoriale che “forse [era] inutile pensare di civilizzare [gli italiani] o mantenerli disciplinati, se non avvalendosi del braccio della legge”. E.A. Ross, sociologo della University of Wisconsin, insisteva nel dire che in Italia la criminalità era diminuita solo perché “i delinquenti sono venuti tutti qui”.

L’estate che accadde tutto, Bill Bryson, Guanda

domenica 11 novembre 2018

ottobre è il mese della consapevolezza.
infatti è novembre e vago senza costrutto da un pianeta all’altro utilizzando uno stargate fatto in casa (se non sapete come costruire uno stargate potrete cercare sul manuale di tecnologia applicata del professor alex pernenbrod; le istruzioni base sono: prendi due auto, fai alcune modifiche strutturali al motore a scoppio, utilizza il cambio marce come selettore, non dimenticare di levare le targhe per non pagare il bollo), però fra i miei successi personali posso vantarmi di stare diventando cintura nera di pasta al tonno.
ho anche ricominciato a leggere. insomma, più o meno.
prima leggevo tomi molto complicati di cinquecento pagine in tre giorni (alcuni li capivo anche) ora invece ho difficoltà a fissare la lista della spesa, e quindi la cosa si fa complicata.
non so se sono cambiati i tempi (prima era un 4/4, ora è un 7/8) o se sono cambiato io.
certo, mi ero già accorto che la mia capacità di concentrazione era passata dal livello “maestro jedi” al livello “jack russell con difficoltà di apprendimento”, ma adesso si esagera.
certo, il fatto che prima non avessi un televisore, un telefono cellulare, un accesso a internet, due gatti e uno stargate domestico, forse facilitava leggermente le cose.
lo so che succede anche a voi.
quindi adesso facciamo un esperimento: io vi metto 6:18 di billie holiday, voi schiacciate play e ve la ascoltate tutta, dall'inizio alla fine, senza pause, senza interrompere, magari chiudendo gli occhi. se non ci riuscite neanche con billie, vabbè, io non so più cosa fare.


giovedì 18 ottobre 2018

i blog non muoiono mai, al massimo muore il server

alla fine tutto quello che so di me, in relazione al mondo che mi circonda, coscienza e autocoscienza (qualsiasi cosa esse siano), è una narrazione.
tutti i miei pensieri sono fatti di parole, anche le sensazioni, gli stati d’animo. se non posso descrivere (o descrivermi) cosa mi sta succedendo (anche solo dicendo “ehi, non ho idea di cosa mi stia succedendo”, a me capita spessissimo, a voi no?), con buona probabilità sono morto: impariamo a rendere conto di noi stessi tramite il linguaggio.
la mia identità è una narrazione: mi sto raccontando una storia, la storia della mia vita, quello che mi è successo durante tutta la mia vita per arrivare qui, a raccontarmi: l’invenzione di sé (l’interpretazione delle storie che narriamo) crea una separazione fra l’io che racconta e l’io del passato. non esiste identità senza autonarrazione.
l’autobiografia è una localizzazione nel tempo e nello spazio, e non è altro che un genere letterario.
il problema è che noi narratori parliamo per astrazioni , ed è il motivo per cui usiamo parole come anima, vita spirituale, divinità ma non c’è nessun dannato accordo che ci possa garantire cosa significano le parole che stiamo usando.
siamo dei narratori e questo, se uno vuole conoscere il mondo reale, oltre a sé, è probabilmente un grosso difetto.
ma effettivamente gli esseri umani sono pieni di difetti strutturali.
non possiamo vedere niente al di fuori del nostro spettro visibile, e i nostri occhi hanno degli angoli ciechi; non possiamo sentire la maggior parte delle frequenze sonore; siamo orientati (contrariamente all’universo, abbiamo un alto e un basso, un fronte e un retro) e abbiamo solo un punto di vista alla volta; pensiamo solo in due o tre dimensioni; non comprendiamo le lunghe distanze (è il motivo per cui le distanze astronomiche sono espresse in tempo); siamo irreversibili, diventiamo vecchi e alla fine moriamo; ma c’è di più, possiamo romperci piuttosto facilmente e morire giovani; come specie, recentemente abbiamo fatto scelte discutibili, tipo inventare i cappotti invece di migrare al sud in inverno (come altre specie evidentemente più intelligenti di homo sapiens fanno regolarmente), o fidarci ciecamente di astrazioni piuttosto arbitrarie tipo denaro, matrimonio, nazionalità.
e tutto questo, solo perché, qualche miliardo di anni fa, un organismo unicellulare ha fatto alcune scelte vincenti per sopravvivere e perpetuarsi su questo pianeta (non è stata una grande idea, nonno), e noi la chiamiamo evoluzione.
però occhei, se la narrazione è un difetto (e molto probabilmente lo è), è uno dei più divertenti.

martedì 25 settembre 2018

- come ti vedi fra 5 anni?
- boh, usando uno specchio?

io quella cosa di fare dei progetti, programmare la propria vita, avere delle aspettative, delle ambizioni, delle direzioni da prendere, ecco, non l’ho mai capita.
voglio dire, mi piacerebbe, ma ogni volta che mi fanno quella domanda il mio cervello entra in modalità “mucca guarda treno” e richiama una subroutine di afasia standard.
credo che il problema in realtà sia che tutto quello che voglio, dalla vita, è scomparire.
eppure ogni volta che controllo, sono sempre lì.
è per quello che non faccio mai quelle cose epiche o picaresche che succedono nei romanzi di formazione, quando la gente vuole ritrovare se stessa.
io non ho bisogno di ritrovarmi, sono già lì, non riesco mica a scomparire.
il mio maestro di smaterializzazione dice che il problema di base è che ormai è entrata nella vulgata popolare quella boiata galattica che, se vuoi, puoi.
cioè quella roba che se lo vuoi davvero, lavori duro e fra cinque anni diventi imperatore dell’universo, patriarca di costantinopoli, superman, basta volerlo e crederci abbastanza.

- ehi, ma tizio voleva quella cosa lì, ed ora ce l’ha fatta, vedi? se vuoi puoi

- ma certo, è lo stesso motivo per cui tutti possono vincere la lotteria, no? infatti sono tutti ricchissimi e nati a krypton, basta volerlo abbastanza.
il mio maestro di smaterializzazione dice che non basta volere fortissimamente una cosa perché poi accada davvero.
puoi fregare il tuo cervello, ma non puoi fregare la realtà.
quindi devo lavorare sulle cose alla mia portata, se non posso scomparire, posso almeno cercare uno step intermedio, tipo diventare invisibile. sei sempre lì, il che è una grossa rottura di balle, ma almeno la gente non ti vede.
per adesso mi sto esercitando nei locali affollati: quando voglio bere qualcosa, mi avvicino al bancone e mi viene benissimo.

martedì 18 settembre 2018

è un periodo un po’ così.
pieno di coordinate (x, y, z, con i calzini abbinati alla camicia) e paratassi (è un mestiere difficilissimo, anche con i guantoni, perché dopo essere presi a calci i tassi si arrabbiano moltissimo).
è notte fonda e io sto cercando di redigere un manuale di addestramento dal pretenzioso titolo “criceti per principianti” quando mi appare il vescovo engelberto con la spada alzata e mi costringe a mettere in atto il piano kalenji, che prevede di sostituire tutto il guardaroba nel tuo armadio con vestiario comprato da decathlon.
per recuperare un briciolo di equilibrio mentale passo le successive due ore a ritagliare triangoli di sierpiński con delle forbicine da unghie, ma tutto quello che riesco ad ottenere è che il mio cervello si rifiuta di dormire e trasmette a reti unificate il coro dell’antoniano che canta “vola mio minipony, vola” per trentasette minuti di fila.
l’unico risultato positivo è che al trentacinquesimo minuto ho un illuminazione e finalmente capisco perché la gente va a vedere le corse dei ciclisti: è perché chiudono tutte le strade per un giorno intero e non puoi andare da nessuna altra parte.

giovedì 9 agosto 2018

"a volte, se guardo indietro, alle scelte che ho fatto negli studi e nel lavoro, il migliore aggettivo che mi viene in mente è caotico".
forse me la metto come bio nel cv.

non è che sono sparito, eh.
cioè, ho sempre desiderato sparire, in effetti, e mi piacerebbe un sacco sapere come farlo, ma in università al corso di smaterializzazione mi addormentavo sempre, oppure pensavo all’alessandra, che a me all’epoca piaceva un sacco, ma poi lei ha preso 30 e lode senza neanche presentarsi al corso (a pensarci adesso, era la strategia migliore).
ad ogni modo ho un nuovo lavoro, e questo tende a tenermi occupato la maggior parte del tempo, specialmente se consideriamo che attualmente il mio primo giorno libero è fra tre settimane.
siccome so che siete ancora convinti che l’universo sia razionale (non lo è, mi spiace, ma non date la colpa a me) vi spiego più o meno com’è andata la cosa.
ho una laurea cum laude in filosofia. ma poi, diciamocelo, a chi serve un laureato in filosofia, quindi ho fatto quello che passava il convento, un po’ di lavori sparsi, e alla fine ho lavorato come impiegato per anni: tutte queste esperienze hanno comunque migliorato le mie già innate capacità di astrazione e di sintesi, mentre le mie capacità manuali sono rimaste quelle tipiche di un cucciolo di foca con difficoltà di apprendimento, e comunque spaventosamente simili a quelle di tutte le specie animali prive di pollice opponibile.
la naturale conseguenza delle cose è che sono stato assunto come (potete scegliere fra):

falegname
la parte bella di questo lavoro è che se non sei robusto, lo diventi. beh, oppure muori, è pur sempre un’opportunità. ma comunque è già un grosso successo non piallarsi le mani entro i primi cinque minuti

operaio di catena di montaggio
se c’è una cosa rilassante è che non devi pensare. la cosa meno rilassante è che se sbagli il timing vai fuori tempo tipo quelli al karaoke che non seguono la base, e da lì a ritrovarsi un pezzo di plastica nel naso è un attimo

barista
al bar la cosa peggiore che ti può capitare è che ti si disidratino i clienti. la parte difficile (a parte preparare il cibo in modo mangiabile e in un tempo accettabile, quella è una roba che non imparerò mai) è ricordarsi di non bere dai bicchieri pieni dei clienti al banco

gelataio
puoi sempre contare sul fatto di lavorare al fresco. certo, non che serva granché se vivi in un posto dove fa fresco la maggior parte del tempo, mentre il restante si gela. la parte facile è la preparazione delle vaschette, la parte difficile è che il gelato non accetta di entrare spontaneamente nei coni

comunque occhei, poteva essere peggio, potevo ottenere un posto da ministro del lavoro, oggigiorno capita anche quello.
poi sto aspettando una risposta dal call center ufi, ma ti prendono solo se hai conoscenze molto in alto.

giovedì 5 luglio 2018

come ogni giorno che il signore manda in terra (ma perché? non potrebbe mandare dei soldi, invece? sarebbe tutto molto più semplice) sono tornato tardi dal lavoro e, per rilassarmi, mi sono messo a navigare su internet.
ho comprato un kit per una piattaforma di atterraggio di ufi da un catalogo online (è tipo ikea, ma su scala galattica*) e ho aspettato per giorni che consegnassero (lo sapete come sono i corrieri, no? in fisica esistono delle costanti universali, tipo la costante di gravitazione universale, la velocità della luce, la costante di planck e i corrieri).
e insomma, doveva arrivare in sette colli, ma poi è risultato che era in cosnegna a roma, poi il corriere non è passato ma ha lasciato un biglietto che però è sparito dalla cassetta della posta (i soliti paradossi dello spazio tempo), comunque alla fine è arrivata e ho scaricato tutto in giardino.
l’idea era farmi rapire per avere un giorno libero dal lavoro.
non che io sia mai stato abile nel bricolage, ma occhei: taglia i cavi della luce, abbatti due pali e un lampione stradale, spiana tutto con attenzione alle pendenze, collega i 4 mini plinti alle sottofondazioni, inserisci la piattaforma di atterraggio preassemblata, stendi 64mq. di autobloccanti, collega i led alla centralina (è comoda perché si interfaccia con un tablet), assembla la torre di controllo portatile e collegala alla rete elettrica, e infine libera la poiana anti corvi (senza farti cavare un occhio, possibilmente, che le poiane sono permalose).
sembrava una cosa da niente (a ricordarsi l’ordine giusto, dico. che le istruzioni sono disponibili in quattro lingue: altariano, vegano**, denebiano e tamil (eh, oh, ci lavora un ingegnere dello sri lanka) e io ovviamente non ne so bene neanche una).
e niente, ero andato a dormire tranquillo, convinto di aver montato tutto giusto, ma qualcosa deve essere andato storto perché stamattina è atterrato l’elisoccorso.

* ha molti più gradini di quanto immaginiate
** è un alfabeto incomprensibile, costituito principalmente da sedanini orientabili

sabato 26 maggio 2018

da gennaio ad oggi, è stato un periodo non troppo felice per la mia salute personale.
qui ho una lista (parziale, per rispetto del gdpr) dei farmaci che il medico mi ha ordinato di prendere negli ultimi mesi:
- fluifort
- oki
- augmentin
- corsodyl
- seleparina (50 iniezioni sottocutanee)
- cefixoral
- prebiolac
- gaviscon
- transact
- voltaren
- supracef
- pantoprazolo
- muscoril (iniezioni intramuscolari)
- toradol (iniezioni intramuscolari)
- tachipirina
- brufen
- flomax
- benactiv
- versatis
- levofloxacina

sempre il medico mi ha chiesto di rispettare una dieta priva di alcolici, grassi, eccitanti, formaggi stagionati, poca carne rossa, con il risultato che ho perso otto chili (ero già sottopeso di sette, ora sono in contatto con alcune agenzie non governative per interpretare una pubblicità progresso sulla fame nel mondo).
il risultato di tutto questo percorso clinico è che, non solo non mi è passato nulla, ma forse sto anche peggiorando.
credo che il mio fisico stia cercando di comunicarmi qualcosa. tipo che è ora di cambiare il medico di base.
ho chiesto di avere un medico di altezza, ma sul sito dell’asl non ce n’erano disponibili.
un team di esperti sostiene che la mia temperatura corporea segua le fluttuazioni del mercato azionario di hong kong, ma non c’è ancora un’evidenza scientifica.
anche perché poi la soluzione sarebbe provocare una crisi economica nel sud est asiatico, e forse non è una soluzione percorribile a livello di stabilità mondiale.
peraltro, forse basta aspettare, se c’è qualcosa di certo in economia è che è sempre probabile una crisi economica nel sud est asiatico, nel medio periodo.
in tutto questo avrei anche un nuovo lavoro, ma andarci da sano renderebbe tutto molto meno complicato.

venerdì 27 aprile 2018

a quasi 40 anni dai mitici anni ’80, una illuminante edizione speciale di “internazionale”, un numero triplo in uscita fra pochi giorni, racconta un periodo che, visto dal presente, appare profetico. ecco una sinossi dei principali articoli

1. mila e sciro, due cuori nella pallavolo
una delicata storia d’amore fra una giovane prostituta soprannominata “trentamila” e il suo fidanzato con disturbi mentali soprannominato “sciroccato”. i due hanno il sogno di recarsi a seoul per assistere alla finale di volley delle olimpiadi del 1988.

2. l’uomo tigros
la storia di luigi orrigoni, l’imprenditore lombardo che agli inizi degli anni ’80 costruì una rete di supermercati di quartiere che, dalla provincia di varese, arrivò ben presto ad espandersi in lombardia e piemonte. ancora oggi, nel nord ovest sono presenti numerosi punti vendita legati alla sua società di distribuzione.

3. tutti in campo con lochte
l’infanzia a rochester, dov’è nato nel 1984, l’ambiente familiare e i suoi sacrifici per diventare un campionissimo del nuoto, le sue amicizie, le sue rivalità, tutto quello che volevate sapere di ryan lochte, dodici volte sul podio alle olimpiadi (con un bilancio di sei ori, tre argenti e tre bronzi) e ben 27 volte a medaglia ai campionati del mondo.

4. kiss milicia
il fenomeno dei kiss, la band statunitense fondata da gene simmons e paul stanley non ha confini nazionali. pochi sanno però del successo sotterraneo ottenuto negli anni ’80 in tutto il latino america e della formazione di gruppi di fan strutturati sulla falsa riga delle milicie nacional sudamericane. questo articolo racconta la loro storia.

5. magica magica emi
gli anni ’80 furono l’apice di una delle major inglesi che dominarono il mercato musicale mondiale, una delle case discografiche più importanti al mondo e che produsse, fra gli altri, beatles, pink floyd, queen, iron maiden. l’articolo ricostruisce le atmosfere di quegli anni e molti dei retroscena legati all’industria musicale dell’epoca.

6. jenny l’antennista
una storia di degrado e riscatto, un’educazione sentimentale che si svolge nel sud italia agli inizi degli anni ’80, in cui gennaro, figlio di uno stradino e di una donna delle pulizie, cerca di emanciparsi e di mettersi in proprio installando apparecchi televisivi in grado di captare le nuove emittenti private che stanno fiorendo nel nord italia.

7. l’incantevole crimi
una biografia breve, la storia dell’adolescenza negli anni ’80 del futuro presidente del gruppo parlamentare del movimento cinque stelle al senato. uno sguardo rivolto soprattutto al lato umano che però ha sullo sfondo l’attualità odierna e riassume gli ultimi cinque anni di politica in italia, alla ricerca delle radici culturali del movimento.

8. la mou
l’industria dolciaria negli anni ’80 registrò un vero e proprio boom di vendite, grazie alla capillare reti di negozi alimentari di paese, ma anche alle pubblicità televisive. vi ricordate le caramelle morbide della vostra infanzia, quelle marroni tagliate a dadini, con il sapore di latte condensato e caramello? questa è la loro storia.

9. hello speck
la storia degli spot televisivi, da gustav thoeni ad alessandro borghese. come cambiano le forme di persuasione, di comunicazione e del linguaggio pubblicitario, a partire dall’emblematico caso senfter.

10. dolce remix
il fenomeno del decennio è sicuramente un fiorire di dischi remix destinati ad un pubblico giovane: la baby records infilò una serie di successi con raccolte mixate (le varie edizioni di bimbomix che hanno imperversato nelle autoradio dell’epoca) che hanno cambiato non solo il modo di fruire della musica ma anche il modo di comporla.

mercoledì 18 aprile 2018

sono seduto alla mia scrivania, guardo la primavera arrivare, mi curo la febbre, e leggo alcuni feed con lo sguardo un po’ catatonico (io, non i feed), lo sguardo di quando la gente di fronte a me fa delle cose che a loro sembrano normali, tipo andare nei posti affollati di sabato pomeriggio, possedere più di tre paia di scarpe, guardare i reality show e io faccio finta che sembrino normalissimi anche a me.
però una cosa qui posso dirla. cioè, non so se siete ancora scioccati per quella faccenda di babbo natale, però ecco, questa cosa la vorrei dire.
i reality show non esistono.
a meno che non stiate cercando un buon ossimoro, dico: una cosa tipo: uccidere i medici abortisti per difendere la vita, mandare gente armata in missione di pace, drogarsi per mantenersi lucidi, bombardare persone per insegnare alla gente di non bombardare persone, allora occhei, va bene.
sennò, esistono gli show, che vengono scritti, montati e trasmessi, essenzialmente per fare soldi con le pubblicità (che va benissimo, sia chiaro, basta non far finta che siano reali). e poi c’è la realtà, che non è chiarissimo quello che sia, ma di sicuro non è uno show in tv.

secondo alcune scuole di pensiero, la realtà esiste, ed è oggettiva.
sembrerebbe una posizione plausibile, non fosse che la realtà spesso non è come sembra, gli esseri umani tendono ad essere molto in disaccordo sulle cose che dovrebbero essere oggettive, e a volte non c’è proprio verso di metterli d’accordo.

allora, secondo un’altra scuola di pensiero, la realtà esiste, ma è inconoscibile perché la nostra conoscenza è sempre mediata dai sensi e in ultima analisi, dall’intelletto (che sarebbero le piccole terminazioni nervose che ci danno gli impulsi elettrici che alla fine noi interpretiamo come ci pare). quello che vediamo è quindi una sorta di realtà virtuale creata dal nostro cervello (e quindi soggettiva); ma, essendo che tutti abbiamo lo stesso cervello (in senso fisico: il fatto che alcuni lo usino come scaldabagno non conta, credo), dovremmo vedere più o meno la stessa realtà.
certo, detto così sembra plausibile, non fosse che se la realtà oggettiva fosse inconoscibile non potremmo sapere che esiste.

quindi, secondo altre scuole di pensiero, la realtà non esiste, ma è creata dalla nostra mente. in questo momento voi potreste essere un parto della mia mente, oppure io potrei essere un parto della vostra. insomma, se la realtà vi fa schifo, dovete prendervela con voi stessi.
posizione logicamente ineccepibile, non fosse che lascia un po’ in sospeso quella cosa della comunicazione fra esseri umani, e prima o poi sei portato a credere di essere dio, che è sempre una cosa negativa per la salute delle persone (comunque poi in genere cambi idea quando la realtà ti tira una bastonata sulle gengive. è difficile credere che sia tutto nella tua mente quando stai contando i tuoi denti sparsi per terra).

secondo il professor georg krapfenberg, docente di fisica quantistica all'università di ginevra, la realtà esiste, è oggettiva, ma cambia a seconda della tua posizione e della tua velocità: ad esempio migliora se stai bevendo una birra. io è tre mesi che non posso bere alcool.

mercoledì 28 marzo 2018

se c’è una cosa che mi rilassa, è guardare il pianeta da otto km di altezza.
d’accordo, non è come guardarlo da 400 km di altezza (che sarebbe ancora più rilassante), ma insomma, non è facile trovare un passaggio da quelle parti.
voglio dire, imbucarsi come clandestino a baikonur è anche plausibile, ma passare dalla soyuz alla iis senza che nessuno se ne accorga tende ad essere complicato.
inoltre, fermare un’astronave in transito, anche ammesso che qualcuno si fermi, poi c’è sempre quella fase in cui non si sa di cosa parlare (è un casino parlare del tempo dove non c’è un'atmosfera), ti coinvolgono in discussioni assurde, tipo che danno trentacinque euro al giorno ai terrestri che poi vengono a rubarci il lavoro sulle astronavi, o – quasi peggio – se ti tira su un vegano poi vuole assolutamente convincerti a mangiare in un ristorante nella costellazione della lira (e tu vagli a spiegare che ormai hai solo euro).
allora un buon compromesso è cercarsi un buon aeroporto (ce ne sono molti, e a me sembrano tutti bellissimi) e usare i vostri trentacinque euro al giorno per comprarvi un biglietto a basso costo.
allo stesso prezzo, potrete dormire direttamente in aereo o, a scelta, in aeroporto; però ricordatevi di portare uno zainetto con una felpa, che in alcuni aeroporti hanno deciso di usare l’aria condizionata per ricreare il microclima di yakutsk (non chiedetemi perché, io sono dell’idea che nessuna civiltà degna di questo nome possa svilupparsi sotto i 25 gradi celsius), un asciugamano per il bagno, e magari dei generi alimentari di sopravvivenza, che in aeroporto c’è questa usanza che il cibo costa quanto il plutonio.
io cerco di farlo regolarmente, almeno tre o quattro volte l’anno.
lo svantaggio è che i voli a basso costo sono piuttosto affollati e ricordano, tipo, che so, la regione shapley. quindi vi capiterà di avere una borsa in testa, un bambino urlante sulla schiena scappato da chissà dove, qualcuno che vi verserà del caffè sui pantaloni. ma insomma, ne vale la pena.
il vantaggio è che tendenzialmente puoi guardare fuori dal finestrino, ed è una cosa incredibilmente bella.
certo, ci sarebbe quella cosa che gli aeromobili inquinano il pianeta; però vi svelo un segreto: al pianeta non importa niente di essere inquinato.
la terra è stata senza atmosfera, o con un atmosfera composta da ammoniaca, metano, vapore acqueo, anidride carbonica ed azoto, per almeno due miliardi di anni, e se l’è cavata benissimo. siamo noi homo sapiens ad essere fissati con quella cosa di respirare ossigeno. ma, capirete, centotrentamila anni (di cui solo circa duemila da protagonisti) contro due miliardi, beh, fatevi due conti su chi ha più probabilità di sopravvivere.


mercoledì 28 febbraio 2018

sto guidando un flacone di vernel alla lavanda con le ruote, mentre il mio cervello canticchia la sigla di ralph supermaxieroe.
fuori è buio, ci sono -3 gradi, ho il pieno di benzina e sto per ridiventare disoccupato.
non che la cosa mi preoccupi troppo.
la condizione di disoccupato è fantastica perché ti permette di dedicare tempo a te stesso e alle cose che più ami, ed è davvero bellissimo, tranne forse quella sottile consapevolezza che sarai morto di inedia entro pochi mesi.
ma forse vivere è sopravvalutato.
pare dunque che sia venuto il momento di rispolverare la sezione colloqui di lavoro, che alla fine è fonte di tanto buonumore, non fosse per tutte quelle domande sul futuro.
il questionario "immagina dove sarai tra cinque anni" mi ha sempre completamente terrorizzato perché non so mai cosa rispondere, e se rispondo sinceramente il tso è sempre dietro l'angolo (in effetti devo ammettere che, in una scala da 0 a 100, dove 100 indica “hai programmato perfettamente la tua vita”, io mi attesto su un dignitoso meno 15).
l’unica cosa che ho fatto, per ora, è stata sistemare il summary di linkedin, e ne sono felice perché finalmente la mia figura professionale emerge in tutto il suo splendore:

mi occupo a tempo perso di epistemologia (attualmente i miei due epistemologi di riferimento sono paul k. feyerabend e un criceto siberiano con cui ho convissuto alcuni mesi ai tempi dell’università) e contemporaneamente lavoravo in uno studio di ingegneria perché, nonostante tutto, mi piace avere un tetto sopra la testa quando fa freddo e mangiare tre volte al giorno.
adoro le persone che leggono il summary su linkedin e le istruzioni sulle confezioni di shampoo e amo indulgere nell’uso inopinato di parentesi. 
so anche che nessuna persona sana di mente legge i summary di linkedin né le istruzioni sulle confezioni di shampoo, ma penso che la sanità mentale non sia un attributo fondamentale per vivere in questo universo.
in questo momento non ho obiettivi, e neanche una reflex, se è solo per questo.
un giorno mi piacerebbe essere ricco o, in alternativa, la pace nel mondo.


venerdì 16 febbraio 2018

per i periti, i caldaisti, gli idraulici, gli antennisti, e alcune altre categorie specifiche, vale il principio di indeterminazione di heisenberg.
possono apparire da un momento all'altro, ma non saprai mai contemporaneamente posizione e velocità.
in pratica vivono in un mondo subatomico.

sabato 13 gennaio 2018

sono alla scrivania dell’ufficio a correggere le bozze del mio ultimo libro “la vita: istruzioni per l’ufo”, quando all’improvviso il computer implode e viene risucchiato in un buco nero di modeste dimensioni, che si richiude subito dopo, così come si era aperto.
apparentemente, non ci sono stati sbalzi di tensione nell’impianto elettrico; monitor, mouse e tastiera sono ancora al loro posto, sopra la scrivania.
verifico la tensione superficiale delle molecole del pavimento, ma sembra tutto a posto.
apro la portafinestra ed esco sul terrazzo per cercare di capire se ci sono stati problemi di fulmini o di varchi spaziotemporali imprevisti ma sembra che tutto sia come prima.
sto per rientrare quando all’improvviso l’ufficio viene risucchiato in un buco nero di modeste dimensioni, che si richiude subito dopo, così come si era aperto.
il quinto piano del palazzo è completamente scomparso, rimane solo il terrazzo, la struttura del tetto (una copertura piana con alcuni vani per gli impianti tecnologici) e una botola direttamente collegata al vano scale.
scendo nel seminterrato e verifico le strutture portanti del palazzo dal corsello box, ma sembra tutto ok.
esco in strada, dove si è riunito un capannello di passanti che indica il quinto piano mancante.
spiego che è tutto a posto, ora cerco di inquadrare il problema e trovare una soluzione accettabile. a volte basta niente, un fusibile, una centralina, una fluttuazione quantistica difettosa, non vorrei chiamare un tecnico per una cosa che magari alla fine si rivela banale; il fatto che il cielo e il lago siano ancora al loro posto sembra rassicurarli un poco.
io vado alla macchina e apro il bagagliaio dove conservo un tester di marston (uno strumento molto utile per individuare anomalie fisiche nel raggio di duecento metri) quando all’improvviso il paese implode e viene risucchiato in un buco nero di modeste dimensioni, che si richiude subito dopo, così come si era aperto.
detesto le reazioni a catena.
prendo la macchina e vado nel paese successivo, dove c’è un tecnico dello spazio-tempo molto gentile che magari ha qualche suggerimento sensato da darmi, ma sembra che oggi sia giorno di chiusura.
mi decido a prendere il telefono per cercare un assistenza tecnica aperta, quando all’improvviso il pianeta implode e viene risucchiato in un buco nero di modeste dimensioni, che si richiude subito dopo, così come si era aperto.
ora il primo tecnico disponibile sta dalle parti di alpha centauri ma, anche ammesso che abbia tempo di venire subito, non arriverà prima di 4,367 anni; è decisamente troppo tempo da passare senza uno stipendio, non saprei davvero come fare.
visto che in ogni caso per ora non ho alternative, decido di fare comunque un tentativo e cerco di mettermi in comunicazione con una stazione spaziale non lontano da alpha centauri (potrei almeno chiedere se hanno un posto di lavoro da offrirmi), quando all’improvviso l'universo implode e viene risucchiato in un buco nero di modeste dimensioni, che si richiude subito dopo, così come si era aperto.
oggi proprio non è giornata.